Il 13 giugno del 1983 tre carabinieri venivano trucidati in via Cristofaro Scobar a Palermo. Erano le 20 circa quando il capitano Mario D’Aleo, comandante della Compagnia carabinieri di Monreale succeduto al capitano Emanuele Basile ammazzato un anno prima, finito il suo turno di servizio, sale sulla Fiat Ritmo blu per tornare a casa. A bordo ci sono l’autista Pietro Morici e dietro l’appuntato Giuseppe Bommarito. L’ufficiale torna a Palermo dove vive con la sua compagna Antonella che lo sta aspettando.
Durante i dieci chilometri percorsi nessuno dei tre militari ha voglia di parlare. Ne stanno succedendo di tutti i colori e la mafia non concede soste. Giunti sotto casa del capitano, alle 20.30 circa, la Ritmo blu imbocca via Scobar e si ferma al civico 22. In strada c’è poca gente, i palermitani cenano davanti alla tv. D’Aleo scende dalla vettura e saluta i suoi uomini e armeggia con le chiavi per aprire il cancello di casa. In mano ha un cestino di albicocche profumate che il fido Bommarito ha raccolto nella sua campagna. All’improvviso una gragnuola di colpi da fuoco incrociato investe i tre militari. Il capitano stramazza sul selciato mentre le albicocche si intridono del suo sangue. Il carabiniere Morici viene fulminato mentre tiene le mani sul volante.
Nemmeno Bommarito avrà scampo, mentre tentava di sedersi al fianco del collega verrà raggiunto da diversi colpi di lupara. La mano scorre verso la fondina della pistola ma non farà in tempo ad estrarla. Scivola per terra in un lago di sangue con lo sguardo rivolto verso D’Aleo, in un estremo tentativo di proteggerlo. Tutto inutile. Tre morti ammazzati. Il resto è il solito copione di quegli anni. Le indagini, i titoloni sui giornali, i funerali di Stato, le parole di circostanza dei politici e di certi alti papaveri della Chiesa che non hanno mai convinto nessuno. L’inchiesta sul triplice omicidio, incompleta e con aspetti poco approfonditi, si arenava: erano stati tre i killer che avevano distrutto la vita di altrettanti servitori dello Stato. Nulla di più. Negli anni nessuno ha tentato di riaprire le indagini.
Nessun accenno alla verità negata. Nessuna evidenza alla possibilità di scoprire diversi particolari importanti di quella mattanza che sarebbe utile conoscere ancora oggi.
Per spronare gli addetti ai lavori ad aprire un nuovo fascicolo, e un nuovo capitolo di storia contro la mafia, Francesca Bommarito ha scritto un libro “Albicocche e sangue” per le edizioni Iod che racconta il dolore per l’atroce perdita ma anche i retroscena di certi personaggi, i tradimenti e le false aspettative di certe istituzioni più conniventi che solidali.