Dopo quasi un decennio, il caso della morte di Artur Karaboja, falegname di origine albanese trovato senza vita nella mansarda della sua abitazione a Cavareno il 31 luglio 2016, torna sotto i riflettori. La Procura di Trento ha aperto un fascicolo per omicidio a carico di ignoti, ponendo nuovi interrogativi su una vicenda inizialmente archiviata come suicidio. Quel pomeriggio di luglio, furono i carabinieri a intervenire dopo l’allarme lanciato dalla compagna dell’uomo. Le autorità conclusero rapidamente per un gesto volontario: nessuna autopsia fu disposta e, pochi giorni dopo, si celebrarono i funerali.
I familiari di Karaboja però non hanno mai creduto alla tesi del suicidio. In particolare la sorella Hajrije, in rappresentanza anche dei genitori e degli altri fratelli, ha sempre contestato quella versione, sostenendo l’urgenza di nuove indagini. Nonostante i primi esposti presentati in Procura fossero rimasti senza esito, la famiglia non si è arresa. Anche la trasmissione televisiva Chi l’ha visto? fu coinvolta nel tentativo di riaccendere i riflettori sul caso.
Finalmente, nel 2024, una svolta: viene aperto un nuovo fascicolo. Alla richiesta di archiviazione da parte della Procura, la famiglia – attraverso l’avvocata Silvia Mesturini – ha presentato una corposa documentazione che metterebbe in dubbio l’ipotesi del suicidio.
Il giudice per le indagini preliminari Marco Tamburrino ha accolto l’opposizione e disposto ulteriori accertamenti. Il fascicolo è ora nelle mani del pubblico ministero Giorgio Bocciarelli, che nei prossimi giorni affiderà l’incarico per l’autopsia al professor Nicola Pigaiani, anatomopatologo e medico legale dell’Università di Verona. Parallelamente, sarà riesumato il corpo di Karaboja, morto all’età di 42 anni.
Alcuni anni fa era stata anche aperta una pagina social dedicata a Karaboja chiamata «Filo diretto con l’ingiustizia». dove sono state postate le critiche contro chi ha archiviato il caso.
Originario di Durazzo, Artur era giunto in Italia nei primi anni Novanta, nel pieno dell’esodo albanese. Ancora minorenne, fu accolto da una famiglia a Fondo, dove si specializzò nel lavoro di falegname e si integrò nella comunità. Viveva a Cavareno con la compagna, dalla quale aveva avuto due figli. Secondo la sorella Hajrije, Artur non avrebbe mai potuto scegliere di togliersi la vita, soprattutto per via del profondo legame con i figli.
A rafforzare i dubbi della famiglia sono due perizie: una medico-legale, firmata dal professor Luigi Papi dell’Università di Pisa, che analizza le fotografie e i verbali dell’epoca; l’altra redatta dalla criminologa Cristina Brondoni, che evidenzia incongruenze nelle testimonianze raccolte nel 2016.
Quel giorno, Karaboja aveva iniziato la mattina con un caffè insieme a un amico e, a detta di quest’ultimo, non mostrava segni di disagio. Intorno alle 15:30 avrebbe però chiamato la compagna, da cui si era recentemente separato, chiedendole con voce agitata di raggiungerlo. Quando la donna arrivò, lo trovò impiccato a una trave della soffitta.
Ora, dopo anni di silenzi e dubbi, la verità potrebbe essere più vicina.