Vincent Plicchi è morto suicida in diretta social il 12 ottobre 2023. Aveva 23 anni ed era una star di TikTok grazie al cosplay di un personaggio dei videogame. Ma poi aveva dovuto affrontare una shitstorm. Per questo si è tolto la vita, secondo il padre Matteo. Anche se l’inchiesta per istigazione al suicidio è stata archiviata. «Sono basito. Oggi ero andato al cimitero da Vincent, perché mi aiutasse con un po’ fortuna. Invece, sprofondiamo nei tecnicismi del diritto. Non sono un giudice, ma leggendo il dispositivo trovo cose che non sono assolutamente corrette», dice oggi in un’intervista a La Stampa.
Una grandissima cazzata
Matteo Plicchi dice a Filippo Fiorini che il dispositivo dell’archiviazione contiene «una grandissima cazzata» nella parte in cui dice che “non v’è la prova, né la stessa pare acquisibile altrove, che gli autori dei messaggi e dei commenti contestati fossero realmente consapevoli del fatto che tali atteggiamenti avrebbero potuto spingere il giovane Vincent all’estremo gesto”. «Il giudice riconosce che Vincent abbia manifestato il desiderio di reagire alle accuse uccidendosi, in chat private con alcuni utenti che, è vero, non erano correlati alle minacce. Però, in un’altra chat, lo rivela a una donna che è la compagna di quello che gli ha scritto: “Chi non muore si rivede bastardo (…) ti stanno dando la caccia tutti e denunciando, sei un pedofilo di merda, vigliacco, non meriti nemmeno di stare al mondo”. È l’ultima cosa che ha letto prima di togliersi la vita. Come si fa a dire che manca la prova?».
La donna al corrente di tutto
Con la donna al corrente di tutto «ci sono delle chat del 25 settembre in cui lui lo dice chiaramente. Si potrebbe obiettare che, anche se lei lo sapeva, potrebbe non averlo detto al fidanzato. Su questo, io e l’avvocato Benfenati abbiamo verificato che il fidanzato aveva accesso ai vari profili social aperti a nome di lei. Ha scritto a Vincent anche usando quelli. Poi, c’è un’altra chat, in cui mio figlio le scrive: “Ho già deciso che mi suiciderò”. In quella stessa conversazione, è stato inviato l’ultimo messaggio che ho riferito». Mentre «la diffamazione è nulla rispetto a ciò che hanno fatto a mio figlio. Posso sperare solo sperare che da quell’indagine si riescano a dimostrare altre responsabilità più gravi. Ma non ho fiducia che andranno a cercare realmente gli hater. Al massimo, ci sarà una denuncia. Mille euro di multa e passa la paura. Con la superficialità con cui è stato approcciato il caso, so che anche questo si risolverà con l’archiviazione».
Quelli che hanno insultato Vincent
Matteo ha parlato con quelli che hanno insultato Vincent: «Uno di loro, un italiano, mi ha scritto sui social. Mi ha detto: “È vero, l’ho fatto anch’io” . Quello forse è l’unico che potrà essere raggiunto dall’inchiesta per diffamazione, ma parliamo pur sempre di aria fritta». Ma lui non è in gradi di identificare i suoi hater: «No. Mentre tutti i suoi hater sono online, il profilo di Vincent è chiuso. Il problema è il video del suo suicidio, che è catalogato come contenuto non idoneo per le norme di Tik-Tok. Provvedimento inutile, se si considera che chiunque voglia, può vederlo ancora. Viene costantemente ripostato da altri sulla stessa piattaforma, senza però che venga ritenuto violento. Di fatto, non si vede nulla. Vincent esce dall’inquadratura. Vedono solo me che sfondo la finestra ed entro in camera sua per provare a salvarlo».
La decisione del Gip e le motivazioni
Nonostante la richiesta di archiviazione per il reato di istigazione al suicidio, il Gip ha ordinato che gli atti siano trasmessi alla Procura affinché vengano proseguite le indagini per diffamazione. Il giudice ha sottolineato che non vi è prova, né è possibile acquisirne, che gli autori dei messaggi o dei commenti offensivi fossero consapevoli che le loro azioni avrebbero potuto spingere Vincent al suicidio.
Il Gip ha inoltre esaminato il caso di due utenti social accusati di aver orchestrato il linciaggio mediatico ai danni di Vincent, evidenziando che il loro obiettivo principale era «neutralizzare l'ascesa sui social del personaggio 'Inquisitor', considerato dai due come un pericoloso competitor». Pertanto, secondo il giudice, non vi sono sufficienti elementi per ritenere che questi individui avessero come fine il suicidio di Vincent, limitandosi invece a una rivalità sui social.
Lo stalking e il coinvolgimento degli utenti online
Il Gip ha anche escluso l’ipotesi di stalking, ovvero il reato di atti persecutori (articolo 612 bis c.p.), sottolineando che, sebbene i messaggi contenessero minacce e offese, non risultano provenire da un unico gruppo di persone che avrebbe perseguitato in modo sistematico Vincent. «I messaggi contenenti minacce e offese risultano provenire da account riconducibili a soggetti differenti», ha spiegato il giudice, «e non si configura dunque l'abitualità propria del delitto di atti persecutori, intesa come reiterazione delle condotte vessatorie». Il Gip ha inoltre osservato che non è possibile sostenere che «i vili messaggi rivolti a Vincent fossero espressione di una comune intenzione e di un accordo preordinato tra i vari utenti intervenuti nella vicenda». Pur concludendo che non vi siano prove sufficienti per configurare reati come l’istigazione al suicidio o lo stalking, il Gip ha dato mandato alla Procura di proseguire con le indagini per diffamazione.