Fra i primi sospettati c’è proprio il seminarista che ha visto per primo il cadavere di Simonetta ma come fa notare il suo avvocato difensore: “Perché il mio assistito avrebbe dovuto tornare sul luogo del delitto? Dove sono i vestiti macchiati di sangue, visto che oggi Toso indossa gli stessi abiti che aveva sabato? Perché avrebbe dovuto aggredire una ragazza che non conosceva e non aveva mai incrociato? Ma soprattutto, dove sono le ferite e i graffi che, secondo i rilevamenti della scientifica, l’assassino si è procurato?” La pista è caduta subito. Poche certezze quelle a cui hanno portato le indagini: Simonetta ha cercato subito la porta di ingresso, una volta aggredita. Si è difesa con veemenza e avrà gridato. La porta era aperta ma nessuno l’ha sentita.

Perché il destino quel giorno non era davvero dalla sua parte. Certo, era sabato, estate e di esami non ce n’erano ma c’erano almeno trenta studenti in sala consultazione. Perché nessuno l’ha sentita? Semplicemente perché le sue grida di aiuto sono state coperte dagli operai a pochi passi dal bagno che stavano lavorando con il martello pneumatico a mezzogiorno. Gli stessi, rintracciati dalla mobile e interrogati, non avevano nessuna traccia di sangue sui vestiti che sono stati sequestrati. E non hanno vestito o sentito nulla. Era da escludere la rapina, perché dalla sua borsetta non sono stati sottratti né i soldi e neppure alcuni gioielli di valore che indossava dal suo corpo. Anche il tentativo di violenza sessuale è stato poi escluso dall’autopsia. Qualcuno l’avrà seguita, forse uno spostato.

Certo è che il suo è stato un omicidio furioso, forse scatenato da un rifiuto. C’era un uomo seduto sulla panchina del chiostro de La Cattolica quel sabato mattina, è stato visto dal custode che lo ha fatto uscire: stempiato, capelli mossi e zigomi schiacciati. Non verrà mai identificato. Un altro uomo strano è stato visto scendere dalla scala da alcuni studenti, fischiava forte e camminava in modo strano. Due giorni prima un altro uomo alto ha seguito due dipendenti della segreteria e le ha aggredite con frasi volgari. Le ha aspettate di sotto, all’uscita dal lavoro. Alcune studentesse di Novara sono state infastidite in treno da un uomo rivisto nei corridoi dell’Università. Quest’uomo fissava sempre le ragazze e le approcciava, maneggiando un coltello che teneva in borsa ma anche questa pista non ha portato a nulla. Decine di mitomani si sono autoaccusati: detenuti, studenti. Sono arrivate anche delle lettere anonime di cui una nel 1993 al dottor Serra, il questore di allora. In questa lettera è stato accusato un sacerdote ma non è stato trovato nessun riscontro rispetto alla morte di Simonetta.