Il 13 febbraio 1976 fu fermato un carrozziere di Partinico considerato vicino agli anarchici, Giuseppe Vesco, e a seguito di una perquisizione in auto e nell’abitazione, i Carabinieri trovarono l’arma utilizzata durante l’agguato e una pistola d’ordinanza rubata ai due militari. Vesco, sottoposto a interrogatorio (a suo dire sotto tortura) dai Carabinier, confessò la strage e accusò tre giovani alcamesi suoi amici, Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli e un conoscente di Partinico, Giovanni Mandalà. Ferrantelli e Santangelo erano minorenni all'epoca dei fatti. Tutti, tranne Giovanni Mandalà, nell’arco di qualche ora, interrogati dai carabinieri di Alcamo, confessavano le rispettive responsabilità.
Gulotta, anche in questo caso a suo dire, fu torturato per una notte intera da un numero imprecisato di Carabinieri che si accanirono su di lui per ore con pugni, calci, sputi, minacce con le armi d'ordinanza e bastonate[15]. Così ha descritto a Walter Veltroni, in veste di giornalista, il momento della stesura del verbale con cui avrebbe confessato: «Con questo nome e cognome mi hanno fatto firmare un verbale in cui mi autoaccusavo di aver ucciso due ragazzi. Funzionava in questo modo: loro ricostruivano come volevano gli eventi di quella notte del 27 gennaio, e io dovevo rispondere ad ogni frase da loro pronunciata. Loro dicevano: “È andata così, vero?”. E io dovevo rispondere solo “sì”. Così fu redatto il verbale. Al momento della firma non volevo più sottoscrivere quella follia. Fui strattonato e uno mi sibilò: “È meglio che firmi, altrimenti ricominciamo come e peggio di prima”[15]».
Vesco ritrattò subito dopo. Fu trovato impiccato in carcere l'ottobre successivo, sebbene avesse una sola mano.
Dopo l'assoluzione il 10 febbraio 1981 al processo di primo grado in Corte d'assise di Trapani (escluso Mandalà) e la temporanea scarcerazione, furono condannati dalla Corte di Assise di Appello di Palermo, il 23 giugno 1982, Giuseppe Gulotta e Giovanni Mandalà all'ergastolo, Gaetano Santangelo (che fu arrestato solo nel 1995) e Vincenzo Ferrantelli a 20 anni.
L'iter processuale fu molto lungo: la sentenza d'appello di Palermo fu annullata dalla Cassazione, condannato ancora con sentenza della Corte di Assise di Appello di Palermo il 26 novembre 1985, annullata dalla Cassazione in data 12 ottobre 1987. La Corte di Assise di Appello di Caltanissetta condannava il Gulotta alla pena di anni trenta, la cui sentenza veniva ancora annullata dalla Cassazione che rimetteva gli atti alla Corte di Assise di Appello di Catania che infine il 29 novembre 1989 ha pronunciato la sentenza finale alla pena dell’ergastolo.
Mandalà è deceduto divorato da un tumore alla prostata, ritenuto troppo pericoloso per cure domiciliari, dopo anni di carcere nel 1998, mentre Santangelo (fino al 1995, quando è stato arrestato) e Ferrantelli, tra un appello e l'altro, si sono rifugiati in Brasile ove hanno ottenuto lo status di rifugiati. Gulotta ha scontato circa 22 anni di carcere, prima di ottenere la libertà condizionale e la revisione del processo.
Solo il 22 luglio 2010, dopo 22 anni di detenzione, Gulotta esce infatti dal carcere in libertà vigilata, mentre Vincenzo Ferrantelli restò latitante in Brasile, dove si era rifugiato anni prima. Gaetano Santangelo fu scarcerato negli anni 2000. Tutti ottennero un nuovo processo in seguito alle rivelazioni di un ex brigadiere dei carabinieri, Renato Olino, sui metodi illegali usati per ottenere false confessioni.