Un noto giornale dell’epoca, “Realtà illustrata”, pubblicò un’intervista a un’amica di Ninetta, la 19enne Lina Federico, anche lei siciliana trapiantata a Roma come domestica, a cui la vittima avrebbe fatto delle confessioni importanti.
Nell’articolo, firmato dal noto giornalista Renato Barneschi, la ragazza dichiarò che mia zia le confessò un giorno di essere incinta e di essere stata abusata dal suo padrone (testuali parole): le disse che era stato il signor Gasparri a metterla in quello stato. Disse all’amica inoltre che Gasparri le aveva promesso di farla abortire da un medico di fiducia e solo per questo motivo rimaneva in quella casa. Era disperata per via del suo fidanzato Antonio, a cui non sapeva come spiegare il suo stato. In un trafiletto a parte, Barneschi scrisse esplicitamente che tutto quello che aveva trascritto era stato riportato in maniera testuale e inviato alla questura perché fossero loro a valutare l’esigenza di accertare quanto dichiarato alla stampa. Ma quella testimonianza non fu tenuta in considerazione, tutto fu insabbiato e archiviato in 48 ore. Che motivo aveva la Federico di fare dichiarazioni così avventate? Se avesse detto cose false sarebbe stata messa in carcere per falsa testimonianza. Era da approfondire quanto dichiarò ma attaccò ambienti facoltosi, dove l’onnipotenza e l’impunibilità sono un dato di fatto.
Lei nel libro sostiene che il commissario Macera sapeva, aveva capito tutto.
Lo disse lui stesso in un’intervista del ’71 quando era già in pensione. Lui aveva il nome dell’assassino ma gli fu imposto il basso profilo dai suoi superiori perché evidentemente avevano subito pressioni importanti. Macera era un superpoliziotto, questo fu l’unico caso che non riuscì a risolvere.
Lei crede che Gasparri fosse implicato nel caso?
Non possiedo verità, non so dire certo chi sia stato l’assassino materiale. Non si può assolutamente dire, sarebbe una forzatura ma la narrazione ce lo indica come un probabile implicato. Fu davvero un delitto? In questa storia per me non esiste un assassino ma una morte avvenuta per aborto clandestino, ma resta un’ipotesi. Antonietta non avrebbe mai abortito, se è successo le sarà stato imposto. In quei giorni a Roma erano ricercati un medico di Lione e la moglie, improvvisamente scomparsi dalla loro abitazione di Monte Mario. Il medico francese era stato radiato dall’albo professionale in quanto noto per aborti illegali privati, pratica da cui i medici italiani si tenevano bene alla larga in quegli anni.
Per Antonietta non fu intentato neanche un processo penale verso ignoti, come reagì la sua famiglia?
Non reagì, semplicemente. La mia famiglia non aveva i soldi per affrontare un processo, le loro condizioni economiche erano molto basse. Questa è una storia di prevaricazione, non siamo tutti uguali davanti alla legge, non fu fatto nulla per arrivare a processo: tante piste e nessun procedimento. Si cercava un mostro ma ad essere mostruosa è la società. Adesso che sono morti tutti, nessun potrà più rendere giustizia ad Antonietta Longo.
A meno che non escano delle carte da qualche Procura che si è occupata del caso…
Mentre lavoravo al libro ho inviato delle richieste di accesso agli atti alla Procura di Velletri, sperando di dessero una mano. Dopo pochi giorni ho ricevuto una telefonata anonima da Castel Gandolfo, non so chi fosse né come abbia avuto il mio numero. Mi disse: “Lei sta cercando notizie, non è importante chi sono io. Lasci perdere perché tanto hanno distrutto tutto”.