Le indagini, condotte dalla squadra mobile nelle persone di Ugo Macera in collaborazione con Nicola Scirè, riescono a dedurre l'ora dell'omicidio, fra le 23:30 e la mezzanotte. Fra i sospettati c'è il marito, il geometra Giovanni Fenaroli, titolare della società Fenarolimpresa, che vive a Milano, dove si occupa di edilizia. Il movente avrebbe potuto essere la possibilità di riscuotere una polizza stipulata sulla vita della moglie per un valore di 150 milioni di lire; inoltre, si scoprirà in seguito che era stata falsificata la firma sulla clausola che prevedeva la morte violenta. L'alibi del marito sembra reggere perché al momento dell'omicidio era in ufficio a Milano con il ragioniere Egidio Sacchi, amministratore della Fenarolimpresa.

Gli investigatori seguono comunque la pista dell'uxoricidio commesso per il tramite di un sicario e, due mesi dopo, vengono a capo del mistero: il ragionier Sacchi confessa di essere stato presente alla telefonata con la quale Fenaroli, poco prima dell'omicidio, comunicava alla moglie che sarebbe passato un tal Raoul Ghiani (n. 1931), per consegnare dei documenti; questi era un operaio elettrotecnico giovane e prestante, che venne compensato con un milione di lire per il delitto.

Secondo le indagini si scoprì che Fenaroli aveva conosciuto Ghiani grazie all'amicizia di quest'ultimo con certo Carlo Inzolia, fratello di Amalia Inzolia, una donna con la quale Fenaroli, dieci anni prima, aveva avuto una relazione; questa donna aveva una figlia, Donatella, che venne adottata da Fenaroli e che, quando nel 1957 rimase orfana, andò ad abitare con lo zio, Carlo Inzolia.

La sera precedente la scoperta del cadavere della Martirano a Roma, Ghiani avrebbe lasciato il lavoro in fabbrica verso le 18:30 e sarebbe stato portato in auto all'aeroporto della Malpensa, dove sarebbe partito per Ciampino con in tasca un biglietto di sola andata a nome Rossi; recatosi poi immediatamente in via Monaci (una telefonata del marito, con la quale la vittima sarebbe stata convinta ad aprire la porta a Ghiani con il pretesto che questi doveva ritirare documenti riservati e importanti, l'avrebbe preceduto), avrebbe compiuto il delitto e quindi sarebbe rientrato a Milano in vagone-letto, giungendo appena in tempo per timbrare il cartellino presso la ditta ove lavorava, il giorno 11 settembre. Ghiani era un ventisettenne, figlio di un bigliettaio dell'azienda tranviaria, e viveva a Milano con la madre, Clotilde Guatteri, il fratello Luciano e la sorella Lia: il padre se n'era andato a vivere da solo poiché non sopportava più i tre figli, tutti e tre adulti e impiegati, con una mentalità e con atteggiamenti che lui, uomo d'anteguerra, non riusciva a comprendere.

Ghiani usciva sovente la sera, ovviamente quando non era impegnato in trasferte per lavoro, e frequentava il solito bar, ove da anni passava la serata fra partite a carte, biliardo e chiacchiere, e in determinati giorni della settimana frequentava qualche sala da ballo. Queste abitudini consolidate non gli giovarono nella presentazione di un alibi: nessuno degli amici abituali riuscì a ricordare se la sera del 10 settembre 1958 lui fosse o no con loro. Ghiani venne arrestato in quanto venne riconosciuto da una donna, Reana Trentini, come il visitatore ricevuto quella sera dalla vittima, oltre che da un passeggero del treno con il quale sarebbe tornato a Milano; inoltre si scoprì che la sera precedente c'era stato un tentativo, che era andato a vuoto e i biglietti del treno per quella occasione erano stati acquistati a suo nome. La polizia poi dimostrò che uscito dalla fabbrica alle 18:30 sarebbe potuto arrivare all'aeroporto e l'Alitalia confermò che un signor Rossi fu imbarcato all'ultimo minuto e, secondo la testimonianza di Sacchi, Rossi era Raoul Ghiani.