Nel XVIII secolo Voltaire scrisse: «Là dove manca la carità, la legge è sempre crudele». L’osservazione era valida per la sua epoca, ma rispecchiava ancor di più la situazione della giustizia in età medievale. A quel tempo i malviventi non avevano certo vita facile: lo squilibrio tra la gravità del crimine e la durezza della pena era enorme. Il carcere era semplicemente il luogo dove i prigionieri erano reclusi in attesa della sentenza decisiva, non il castigo per i delitti perpetrati, così come lo intendiamo oggi; del resto tenere un condannato in prigione per anni era giudicata un’inutile spesa.
Esistevano delle sanzioni di tipo economico, compresa la confisca totale dei beni o l’esilio, che per gli appartenenti alle classi agiate non costituiva una punizione molto severa, ma si rivelava assai più grave per i meno abbienti. Infatti, se evitavano così la morte nella propria patria, gli esiliati dei ceti umili, privati dei loro averi e del sostegno della famiglia, spesso andavano inevitabilmente incontro al patibolo là dove cercavano rifugio.
Ma ad abbondare nel Medioevo erano le pene corporali: frustate, marchi infamanti, mutilazioni e, naturalmente, la morte, inflitta con ogni tipo di supplizio. Abituati agli orrori della guerra e all’incertezza della vita, prede di un costante senso di insicurezza, per gli uomini e le donne di epoca medievale la giustizia si basava sull’antico “occhio per occhio e dente per dente”. Punitiva e privatistica, la pena si fondava sulla categoria etico-giuridica del taglione; era necessario pareggiare i danni derivanti dal reato, spogliando il colpevole di quei beni riconosciuti dalla collettività come valori sociali: la vita, l’integrità fisica e il denaro. La crudeltà e la spettacolarità poi assolvevano la funzione di deterrente.
Infatti, uno dei pilastri della giustizia era proprio il suo carattere pubblico. Le punizioni dovevano servire di lezione al delinquente ma erano anche un avvertimento per il resto della popolazione e perciò avvenivano alla presenza della comunità, per mostrare a tutti che cosa comportava attentare all’ordine stabilito. Questa era la funzione della gogna, un collare di ferro legato con una catena a un muro o a un palo che si metteva al collo dei condannati, esposti per ore all’ingresso dei paesi o nelle piazze principali, perché subissero l’onta della vergogna pubblica.