I crimini più turpi, secondo la mentalità medievale, erano puniti con la morte sul rogo, nella convinzione che il fuoco portasse la purificazione del corpo e l’espiazione dei delitti. Candidati a questa fine tremenda, oltre ai sodomiti, erano soprattutto gli accusati di eresia o stregoneria, ma anche i responsabili di azioni incendiarie gravi. Il condannato veniva solitamente legato a un palo, intorno al quale erano posti abbondanti fasci di legname a cui veniva dato fuoco. Gli infelici costretti a subire questo martirio potevano ritenersi fortunati se la morte sopraggiungeva per asfissia prima che il fuoco arrivasse a lambirne le carni.
In Inghilterra il rogo era la pena capitale destinata alle donne colpevoli di tradimento, nei riguardi del sovrano o di qualcuno che per legge era loro superiore, come nel caso della moglie che assassinava il marito. Solo nel 1790 un decreto del parlamento inglese porrà fine a tale barbara forma di condanna sull’isola.
Senza dubbio il tradimento nei confronti del re era il crimine che suscitava l’accanimento più crudele nel momento dell’esecuzione, fino a estremi che oggi ci sembrano perfino inverosimili. Agli occhi dell’uomo medievale, ribellarsi contro un monarca significava attentare all’ordine stabilito da Dio, di cui i sovrani erano i rappresentanti sulla terra: chi aveva osato macchiarsi di un simile delitto meritava una punizione terribile ed esemplare. Una di queste era lo squartamento: le braccia e le gambe del reo venivano legate a quattro cavalli, pungolati finché non strappavano gli arti del malcapitato. Altrettanto disumana era l’uccisione per sventramento, strazio a cui fu sottoposto nel 1326 il barone Hugh Despenser il Giovane, che aveva cospirato contro la regina Isabella di Francia. Naturalmente, anche i cadaveri dei traditori rimanevano esposti a lungo, appesi per le gambe e preda delle bestie. Conveniva lasciare bene impressa nella mente di tutti la punizione che li attendeva se si fossero azzardati a violare la legge.
Fonte: National Geografic