L’esposizione alla gogna poteva essere accompagnata da frustate, con cui erano perseguiti molti crimini, tra i quali la blasfemia. Altri castighi comportavano la mutilazione del corpo del reo, una pratica abituale nella giustizia del Medioevo. Si considerava efficace per il suo effetto dissuasivo e rispondeva anche all’idea che occorresse punire la parte del corpo con cui era stato commesso il delitto. Così, ai ladri venivano amputate le mani, supplizio crudele inferto anche nel caso di piccoli furti se il colpevole non era nella possibilità di pagare un’ammenda. Altrettanto brutale era l’amputazione delle orecchie o del naso; quest’ultima nella Venezia del quattrocento era riservata ai sodomiti, mentre nell’Italia meridionale era prevista nel caso di adulteri o stupratori colti in flagrante.
Queste feroci mutilazioni servivano a identificare i malfattori, un barbaro equivalente della moderna fedina penale. Tale politica criminale aveva però un successo limitato; essa infatti spingeva i fuorilegge, i marchiati, i mutilati lontano dalla società degli uomini onesti, dove non erano più accettati, e li costringeva inesorabilmente a intraprendere ancora una volta la strada del crimine, unica alternativa per sopravvivere.
La lista delle torture inflitte è ancora lunga: non c’era alcuna pietà per i colpevoli di falsa testimonianza, ai quali la lingua veniva perforata con un attizzatoio rovente o addirittura strappata via con delle tenaglie. Un altro feroce castigo era l’accecamento, imposto per reati di violenza carnale ritenuti gravi, poiché gli occhi erano associati all’appetito sessuale. In molti casi gli occhi erano asportati con un cucchiaio e non era raro che lo spaventoso supplizio provocasse la morte del malcapitato. L’omosessualità, giudicata un atto contro natura, era punita talvolta con la castrazione: così avveniva nella Firenze del XIV secolo; senza contare che la pena nel corso del quattrocento s'inasprì fino a mutarsi in condanna al rogo, diffusa negli altri comuni italiani già dal secolo precedente.