Giancarlo Giudice nasce a Torino l’11 marzo del 1952. Il padre è un reduce dalla campagna di Russia, operaio Fiat e con il vizio dell’alcol. Con la madre stringe un bellissimo legame, ma la donna si ammala di cuore quando il figlio ha appena otto anni. L’infanzia è infelice e nonostante sia un bambino deve prestare le cure alla madre, facendo le veci del padre. In collegio le cose non vanno meglio, tra castighi e violenze. All’età di 13 anni Giancarlo Giudice perde la madre, sconfitta dalla malattia. Una tragedia incommensurabile, che spinge il ragazzo a tentare il suicidio in più di un’occasione. Dopo l’ennesimo tentativo – ingoiando delle pastiglie dell’infermeria del collegio – viene rispedito a casa del padre. Ma la situazione non migliora. Il padre si risposa con una donna molto più giovane di lui e trascura il figlio, che entra subito in contrasto con la madrina. Una situazione insostenibile, che spinge il genitore a trasferirsi in Calabria e ad abbandonare il figlio in un istituto. Uno strappo difficile, impossibile da rimarginare. Tanto da scatenare un moto di rabbia nei confronti delle donne che esploderà diversi anni dopo.
Dopo aver perso anche il padre, Giancarlo Giudice inizia a fare uso di droghe, dalla cocaina all’LSD. Cambia lavoro continuamente, fino a quando – all’età di 27 anni – inizia a lavorare come camionista per una ditta di autotrasporti di Cigliano. Si fa conoscere come uno stacanovista, apprezzato dai colleghi per la tenacia e per la sua puntualità, complici anche le sostanze stupefacenti. Come camionista ha la possibilità di stare in movimento e di frequentare prostitute, appagando la sua ossessione per il sesso. Fino a quando, alla fine del 1983, diventa un serial killer.