Il 3 gennaio 1990, un noto insegnante e giornalista di Bovalino, Antonio Delfino, riceve un plico contenente la quinta prova in vita di Cesare e tre lettere. Ovviamente il fatto è ripreso dai mass-media, e sembra volto a screditare l'operato di forze dell'ordine e magistratura agli occhi di quella parte dell'opinione pubblica contraria alla linea dura. Oltretutto, si discute sulle ultime due prove in vita: la precedente, inviata dai banditi a novembre e mai ricevuta dalla famiglia, si dice sia stata fatta sparire dagli inquirenti; quella attuale, poi, suscita ancora più perplessità: la polaroid che ritrae Cesare con un quotidiano sportivo del 31 dicembre, infatti, è ritenuta falsa da uno dei massimi esperti italiani di fotografia, Ando Gilardi, che pur augurandosi di sbagliare (come poi verrà appurato), parla inizialmente di "fotomontaggio grossolano".
Ad ogni modo, il procuratore Calia non cede, e induce la famiglia Casella ad aspettare ancora, pure in virtù di un appello che Giuseppe Strangio, dall'ospedale in cui si trovava piantonato, ha lanciato ai rapitori in favore di Cesare ("Vogliatelo bene!"). In realtà l'indagato, già condannato a 27 anni per un altro sequestro (e divenuto latitante per essersi dileguato in seguito a un discutibile permesso premio), sta cominciando a collaborare seriamente con la giustizia. Ciò permette alle forze dell'ordine di stringere il cerchio intorno ai rapitori, desiderosi questi di ottenere il denaro ma anche di non aggravare la loro posizione giudiziaria in caso di probabile cattura. Per questo, scoraggiati anche dal tragico esito di un tentato sequestro a Luino, costato la vita a quattro loro “colleghi” di San Luca e reso noto il 18 gennaio, i banditi decidono di chiudere la faccenda senza sangue, né altri soldi, a due anni esatti dal suo inizio. Alcuni giorni dopo, martedì 30 gennaio 1990 e curiosamente alla stessa ora del rapimento, Cesare Casella viene finalmente liberato.
All'indomani della liberazione, salutata con entusiasmo dall'Italia intera e non solo, si inseguono molte voci circa trattative parallele, interventi dei servizi segreti e concessioni all'anonima sequestri. Vincenzo Calia replica alla stampa che si tratta di parole "a vanvera e destituite di ogni fondamento": la seconda rata del riscatto non è stata pagata e l'esito positivo della vicenda, si lascia intendere, è riconducibile solo ed esclusivamente alla cattura di Giuseppe Strangio.