Anche nel caso della Lipari, non sono pochi i dubbi irrisolti. Poco dopo lo sparo, alle 11:44 (risultano secondo i tabulati Telecom), chiama il padre e dice poi che era entrata nell’aula 6 e “la stanza era vuota”, ma dopo pressioni dichiara di ricordare altro, tirando in ballo la presenza di una donna e di un uomo, con un altro uomo che usciva salutandola.
Ricordi che lei stessa definisce “subliminali”. “La premessa conclusiva della Corte del disposto rinvio è che al termine del processo si sa che Giovanni Scattone ha sparato, ma non si sa né perché né come”, si legge dalla sentenza finale dei giudici. Manca, cioè, un movente accertato. Lo scrittore Mauro Valentini, autore del libro “Marta Russo, il mistero della Sapienza” ci dice: “Il processo Marta Russo fu l’atto giudiziario più controverso credo della nostra storia. Un intreccio di perizie che sconfessavano la ricostruzione degli inquirenti e tre testimonianze, raccolte con singolari dichiarazione spontanee. Di dubbi ce ne furono tanti. Troppi. A cominciare dal punto indicato come luogo di sparo, assolutamente improbabile per posizione e ubicazione. Non si indagò poi su alcuni soggetti interni all’università che maneggiavano armi all’interno dei locali della Sapienza e che per loro stessa ammissione erano avvezzi a giocare con le armi. Aggiungo due considerazioni soltanto: Scattone e Ferraro non furono visti da nessuno delle centinaia di studenti quel giorno, ma soltanto e con un ritorno di memoria dopo mesi dalle tre testimoni chiave. Che ricordarono cose che non convergeranno mai tra loro. L’altra cosa che trovo davvero incredibile è quella che chi quel giorno era incaricato di far le pulizie al bagno di statistica al piano terra, luogo indicato dal perito balistico incaricato dalla corte d’assise come possibile luogo di sparo, due anni dopo farà parte del gruppo ritenuto responsabile dell’omicidio del professor D’Antona”.