Valerio Verbano. Un enigma ancora insoluto degli anni di Piombo.
«Avevo un figlio, Valerio, che riempiva la nostra vita e me lo hanno ammazzato. È caduto sul divano in quell’angolo, aveva la testa dove adesso c’è quel gattino di pezza. Sono stati i fascisti, forse per vendetta, perché Valerio faceva parte di Autonomia, o forse per paura. Valerio era un loro nemico giurato, stava raccogliendo un dossier sui fascisti del quartiere, chissà? Ma da quel giorno viviamo con uno scopo, scoprire la verità su nostro figlio. Dare un nome ai tre assassini che ce l’hanno ucciso davanti agli occhi. Se la sua morte rimarrà un mistero, mio figlio sarebbe ucciso per la seconda volta.»
(Sardo Verbano)
Il 22 febbraio 1980 tre ragazzi armati e con il volto coperto fanno irruzione in casa Verbano, in via Monte Bianco 114 nel quartiere Montesacro. Legano e imbavagliano il padre Sardo e la madre Carla, cominciano a perquisire tutta l’abitazione e attendono il loro unico figlio, Valerio, diciottenne attivista di Autonomia Operaia. Quando Valerio rientra a casa da scuola, inizia una violenta colluttazione al termine della quale gli sparano alle spalle con un unico colpo. Il giorno dei funerali avrebbe compiuto diciannove anni.
L’omicidio di Valerio Verbano è uno degli enigmi degli anni di Piombo, un assassinio dalle mille ipotesi, rivendicato sia da destra che da sinistra e che tutt’oggi rimane insoluto. Nonostante le lunghe e ripetute indagini, le dichiarazioni dei vari pentiti e le molteplici rivendicazioni che pervennero alle forze dell’ordine nei giorni successivi al delitto, pur ritenendosi certa la matrice neofascista, il movente e i responsabili dell’omicidio non sono stati mai accertati e tutte le inchieste non hanno portato ad alcuna verità giudiziaria.