Ci si è spesso domandati perché fra tanti comunisti è stato scelto proprio Valerio, senza mai arrivare a una certezza. Un’ipotesi, come posta dalla prima rivendicazione dei NAR, è legata all’uccisione di Stefano Cecchetti, studente del liceo Archimede, lo stesso di Valerio. Il 10 gennaio 1979 nel quartiere Talenti un gruppo di Compagni Organizzati per il Comunismo spara davanti a un bar, noto ritrovo di fascisti, e uccide un giovane, ma lo stesso Valerio, che lo conosceva, si dichiara pubblicamente contrario a quell’azione, pur rivendicata dal movimento, affermando che non si trattava di un militante fascista.
Una seconda ipotesi è connessa ad una rissa avvenuta a piazza Annibaliano nell’ottobre 1978, a pochi giorni dall’assassinio di Ivo Zini. Valerio si trova a fronteggiare, armato di coltello, alcuni fascisti fra cui Nanni De Angelis. Due militanti della destra vengono accoltellati, due compagni sono feriti. Valerio è colpito con una martellata, e in quell’occasione perde il suo borsello, che contiene anche i documenti di identità. I fascisti hanno quindi tutti i suoi dati e possono organizzare la vendetta.
La terza ipotesi è quella più conosciuta: sui fascisti Valerio, insieme ad altri, lavorava a un dossier di controinformazione con nomi, fotografie, informazioni su legami con la criminalità organizzata, con gli apparati statali. Raccoglieva dati girando spesso da solo con la sua Vespa e la macchina fotografica. Il dossier gli viene sequestrato nell’aprile del 1979, quando finisce in carcere con altri compagni perché trovato in un casale abbandonato alla periferia di Roma a confezionare bottiglie incendiarie; in casa gli sequestrano anche una pistola. Esce dal carcere nel mese di novembre e il dossier non gli viene restituito. Dopo il sequestro, il materiale scompare però misteriosamente nei meandri dei depositi giudiziari. La scomparsa viene in seguito denunciata, il 26 febbraio 1980, anche dagli avvocati della famiglia Verbano, essendo questi ultimi a conoscenza sia dell’elenco sia del contenuto del materiale stesso: nell’ottobre del 1980 ne chiesero invano il dissequestro e la restituzione, negata dal giudice istruttore perché materiale ancora sottoposto a segreto istruttorio.
Quattro anni dopo, l’11 aprile 1984, la stessa Corte d’appello che aveva giudicato Verbano ne ordinò la distruzione, nonostante queste carte fossero state nuovamente repertate nell’inchiesta aperta per il suo omicidio. L’effettiva distruzione avverrà solo il 7 luglio 1987.
Ampi stralci di questi dossier (in copia fotostatica) riapparvero improvvisamente nel febbraio del 2011 dagli archivi dei Carabinieri ed entrarono negli atti dell’inchiesta sull’omicidio, al momento della sua riapertura da parte della Procura di Roma. Nei 379 fogli che compongono il contenuto di quei documenti, quasi tutti scritti a mano da Verbano, sono trascritti circa 900 nomi di attivisti di estrema destra corredati da indirizzi e (in alcuni casi) anche di numeri di telefono. Altri 16 fogli, trascritti invece da più mani, riportano appunti, schede di appartenenza politica, piantine di strade e piazze di alcuni luoghi di ritrovo dell’estrema destra romana. Tra i nominativi ci sono quelli di attivisti dell’epoca, poi divenuti politici di professione, come Teodoro Buontempo e Francesco Storace, quest’ultimo indicato come individuo che “porta gli occhiali Lozza da vista, segretario FdG Acca Larentia, cicciottello”; o anche personaggi già noti per il loro ruolo di leader in organizzazioni neofasciste dell’epoca, come Paolo Signorelli, Stefano Delle Chiaie o Alessandro Alibrandi. Nei fascicoli non mancano anche i nomi di attivisti di estrema destra successivamente uccisi negli anni di piombo, come Luca Perucci, ucciso nel 1981 o Angelo Mancia, assassinato il 12 marzo 1980 molto probabilmente per vendicare proprio l’omicidio Verbano.