La sera dell’8 gennaio 1991 sulle montagne di Sinnai, a ridosso di Burcei, vengono uccise tre persone al lavoro nell’ovile Cuile is Coccus. La quarta si salva e sarà decisiva nell’incriminare il pastore Beniamino Zuncheddu come presunto responsabile. La vicissitudine giudiziaria di Beniamino Zuncheddu comincia 34 anni e mezzo fa e termina, in qualche misura, gennaio 2024. Per capire cosa sia accaduto, e perché il pastore di Burcei sia stato coinvolto nell’inchiesta, bisogna tornare al 1991.
L’8 gennaio di quell’anno sulle montagne di Sinnai a ridosso di Burcei il buio è calato già da circa 45 minuti. Luigi Pinna guarda l’orologio più volte: è salito a Cuile is Coccus, 700 metri di altitudine sotto le antenne di Serpeddì, per aiutare il suocero Gesuino Fadda, titolare dell’ovile, allevatore originario di Busachi ma residente a Maracalagonis (centro abitato confinante con Sinnai), a sistemare un muretto di recinzione per il ricovero delle capre. Però si è fatto tardi e ha fretta, perché deve passare da un amico a Mara e andare con lui in palestra a Sinnai alle 19. Sono già le 18,30 e il paese dista 8 chilometri. Per arrivarci, viste le condizioni della strada, serve un’ora di viaggio. Più o meno.
Così lascia gli attrezzi e saluta ma subito si blocca quando sente due esplosioni arrivare dal buio. Si volta, incrocia lo sguardo di Giuseppe, suo coetaneo, figlio di Gesuino, col quale lavorava alla recinzione, poi arriva un urlo da qualche decina di metri più a valle: «Prendi il fucile, stanno sparando a tuo padre». È Ignazio Pusceddu, pastore alle dipendenze dei Fadda, che svela cosa è accaduto. Inizia così la mattanza da tutti conosciuta come la “strage di Sinnai”: tre persone uccise nell’arco di pochi minuti, nonostante l’ampia area coperta dal killer (o dai killer), e una quarta moribonda, sopravvissuta miracolosamente a un’azione quasi militare nello sviluppo e nella precisione.
I tempi e la sequenza dell’eccidio emergono solo nelle ore successive, quando si scopre che una persona è sopravvissuta ed è in grado, seppure a fatica (e con alterne dichiarazioni), di spiegare cosa è successo. Le indagini degli investigatori e le testimonianze fanno emergere tra l’altro che nel periodo immediatamente precedente agli omicidi Gesuino Fadda era particolarmente preoccupato: lo rivela la moglie della vittima la quale però aggiunge che il marito non le aveva spiegato per quale motivo. Qualcosa di tanto grave da sfociare in una simile strage? Quali misteri si nascondono dietro la mattanza?
Ricostruire contesto e movente sembra complicato, ma un passo alla volta emerge la dinamica. Quella sera, in base ai risultati degli accertamenti, qualcuno si avvicina a Cuile is Coccus senza farsi notare (forse è a piedi, ma in ogni caso il rumore dei 1.100 capi di bestiame dell'azienda avrebbe potuto coprire quello di un’auto o un motorino). Imbraccia un fucile, si apposta ai margini della stradina che conduce ai caseggiati dell’ovile che stanno poco più a monte e quando passa Gesuino Fadda salta fuori, gli spara e lo uccide; subito dopo fa altrettanto col figlio Giuseppe, messo in allarme da Pusceddu e corso a cercare (senza riuscirci) un fucile calibro 16 nascosto nel fienile per ogni evenienza; quindi entra nel casolare dove si trovano il cucinino e la stanza con le brande e qui, aprendo la porta con un calcio e gridando «fuori di lì, fuori di lì» in italiano (dettaglio che si rivelerà importante nel futuro), ammazza chi lì si è rifugiato sperando di scampare alla morte: spara una volta contro Pusceddu, che muore sul colpo, e due volte contro Pinna, che però sopravvive pur colpito al femore e alla spalla. Ma l’omicida non lo sa.
Questi infatti, sicuro di aver eliminato tutti, stacca il generatore di energia elettrica e va via mentre il sopravvissuto trascorre la notte avvolto dall’oscurità più totale e col terrore che l’assassino torni per finire il lavoro. Non muore dissanguato solo perché stringe un pezzo di stoffa attorno alla gamba per fermare, o comunque rallentare, l’emorragia. Aspetta, sveglio e dolorante, in stato di semi incoscienza, tutta la notte. Sinché, col sole già sorto, arriva qualcuno: un amico dei Fadda, chiamato dalle figlie che, preoccupate per il mancato rientro del padre dal lavoro la sera precedente, gli chiedono di andare a controllare la mattina dopo assieme a loro. L’uomo, arrivato in montagna, scopre i cadaveri, e mentre le figlie piangono il padre e il fratello lui chiama i soccorsi. Arriva l’ambulanza, che carica il ferito e parte di filata verso l’ospedale, ma mentre percorre le strade sconnesse di campagna incrocia un’auto dei carabinieri che blocca il mezzo per far sì che un maresciallo dell’Arma possa salirvi a bordo e fare subito le prime domande al superstite.
Il testimone oculare, dopo un mese di tentennamenti – disse di non poter riconoscere il killer, perché aveva una calza da donna sul volto – indicò Zuncheddu alla polizia. Una giravolta che oggi, la procura di Cagliari e il legale del detenuto, legano a presunte pressioni del funzionario Interpol, Mario Udia, attualmente titolare di un’agenzia di investigazioni.
Il poliziotto era convinto che Zuncheddu fosse colpevole, e aveva mostrato al testimone la sua fotografia prima del riconoscimento ufficiale, un espediente per memorizzare e farla indicare -davanti al pm- tra quelle degli altri sospettati.Non solo una testimonianza, a quanto afferma lo stesso superstite, decisamente “imboccata” ma anche le modalità del crimine, presentavano le caratteristiche dell’azione paramilitare. È poco probabile che un killer solitario, abbia potuto uccidere – quasi contemporaneamente – tre persone e ferire un’altra in modo grave. Se la procura e l’avvocato difensore di Zuncheddu, Mario Trogu – che hanno chiesto la revisione del processo – avessero ragione, perché si è voluto incastrare quell’uomo, in carcere da 33 anni?
Beniamino Zuncheddu è stato assolto nella serata di ieri (26 gennaio) dopo aver trascorso 33 anni in carcere con l’accusa di omicidio. Secondo la condanna in via definitiva ricevuta nel ’91, infatti, l’uomo aveva ucciso 3 persone sue rivali nella strage di Sinnai. Più di 30 anni dopo la condanna, Zuncheddu è stato assolto per l’errore giudiziario.
Dopo 33 anni, Beniamino Zuncheddu può lasciare il carcere nel quale è stato rinchiuso fino al 26 gennaio 2024. L'uomo, oggi 60enne, è diventato un detenuto all'età di 27 anni con l'accusa di omicidio. Nella giornata di ieri il pastore di origini sarde è stato assolto nel processo di revisione per la sentenza definitiva all'ergastolo relativa alla strage di Sinnai, in provincia di Cagliari. L'uomo era stato incarcerato per l'omicidio di Gesuino Fadda, 56 anni; il figlio Giuseppe, di 24 anni e il dipendente dell'ovile nel quale i due lavoravano, Ignazio Pusceddu, 55 anni.
Come sempre di poche parole, Zuncheddu non ha voluto commentare in prima persona quest’ultimo atto della sua odissea giudiziaria, lasciandosi andare solo a un commento molto amaro: «Mi è stata rubata la vita. Ora nessuno può mettere in dubbio che abbia il diritto di essere risarcito. Che lo Stato, nel frattempo, mi dia almeno mille euro al mese». A marzo il Tribunale di sorveglianza un indennizzo lo ha già riconosciuto all’ex servo pastore: 30mila euro, ma solo per la sua «trentennale permanenza nelle carceri di Buoncammino e di Badu ‘e Carros, entrambe in Sardegna, in condizioni ritenute inumane per il sovraffollamento e all’interno di celle intorno ai due metri quadri, con il bagno non separato da porte. senza acqua calda, con compagni di cella che dormivano sui materassi ammassarti sul pavimento».