Screenshot 2024 11 10 at 10 15 46 gabriella bisi Cerca con GoogleLa polizia arriva sin lì grazie a una telefonata anonima. Qualcuno ha preso la deviazione dell’Aurelia per appartarsi un attimo, è sceso dall’auto, ha salito una scaletta di pietra sino alla prima fascia della collina e scorto fra i rovi e gli arbusti qualcosa che, certamente, non riuscirà mai più a cancellare dalla mente. Il cadavere della donna è steso supino, le braccia stese in alto, una gamba leggermente piegata; su quanto resta del capo, orribilmente devastato, spiccano ciuffi di lunghi capelli rosso tiziano. L’aria è ammorbata dal fetore. Il corpo è annerito e annerita è anche l’erba che lo circonda. Accanto c’è una tanica di benzina quasi vuota. Quel corpo è stato dato alle fiamme?

È quanto pensano il vicequestore Salvatore Presenti, dirigente del commissariato di Chiavari e i due agenti che sono con lui. È quanto crede, sulle prime, anche la dottoressa Elisabetta Schiappacasse, il medico legale che giunge sul posto poco dopo assieme al dirigente del commissariato di Rapallo, Aniello Sciavicco. Ma non è così. La realtà è, se possibile, ancora più orrenda. Quel corpo di donna non è stato dato alle fiamme: è in avanzato stato di decomposizione. A ridurlo così è stata la lunga esposizione al sole, il calore di quell’agosto torrido e gli animali selvatici che ne hanno fatto scempio. Ma c’è di più e di peggio. A un esame più attento del cadavere, la polizia e il medico legale scoprono una piccola striscia nera che taglia il collo della donna. È un paio di slip, con il quale è stata strangolata. L’assassino li ha stretti attorno al collo utilizzando un pezzo di legno e trasformando quell’indumento intimo in una mortale garrota. Per almeno venti volte, stabilirà l’autopsia, ha ruotato quel pezzo di legno sino a soffocare la sua vittima e a sfondarne la carotide. Venti giri verso la morte utilizzando un pezzo di legno che le analisi tecniche diranno essere proprio di robinia.

Screenshot 2024 11 10 at 10 17 30 gabriella bisi Cerca con GoogleAgli investigatori non occorrono invece accertamenti clinici per sapere a chi appartiene quel corpo sfigurato. Basta il rosso acceso dei capelli per far loro supporre di trovarsi di fronte al cadavere di Gabriella Bisi, architetto e arredatrice milanese, la cui scomparsa alcuni amici avevano denunciato una settimana prima. È, la loro, solo una supposizione perché nella piccola radura in cui il corpo è stato trovato, non c’è nulla che aiuti a riconoscere con certezza la donna. A parte gli abiti che ha addosso, ormai ridotti a brandelli, le ricerche della polizia portano al ritrovamento solo di un sandalo infradito, chiuso da un una striscia di pelle argentata; niente documenti, nessun oggetto personale che possa certificare l’identificazione, neppure gli occhiali da miope che la donna portava. 

L’indomani mattina sarà il padre Giuseppe, rientrato in fretta e furia dalla Grecia dove era in vacanza, a riconoscere ufficialmente il corpo di Gabriella Bisi. E con lui, a spazzare via ogni dubbio sull’identificazione, il dentista di Gabriella giunto da Milano all’obitorio di Chiavari con la sua cartella clinica. Ma come era potuto accadere che una giovane donna come Gabriella Bisi, che tutti descrivono come appagata e soddisfatta della vita, circondata da amici e senza problemi, facesse una fine così orrenda? Quali strade e quali misteri l’avevano condotta da Milano sino alla collina delle Grazie all’appuntamento con una morte dai contorni così terribili?