Mentre si cerca in lungo e in largo, Botteri ricorda alcune strane telefonate mute ricevute qualche tempo prima. I controlli dei tabulati portano tutti ad una medesima cabina telefonica: per buona sorte l’assassino ha usato una volta la scheda anche per chiamare la casa della propria madre. È così che viene individuato. Ma non è un uomo: si tratta di Daniela Cecchin, 47 anni, impiegata comunale, donna scrupolosa, educata ed estremamente religiosa. In dna, ricavato da una sessantina di reperti, tra sangue e capelli, conferma. Allo sgomento iniziale della città e degli inquirenti ne segue uno molto più grande quando la donna confessa: dice che la vittima non la conosceva neppure. Fin dai tempi del liceo, racconta, si era sentita derisa da tutti proprio per la sua religiosità e la sua introversione, e lei era andata in depressione.
«Ma cosa c’entra col delitto?» domandano.
C’entra. E Daniela ricorda: tre anni prima, casualmente, aveva visto passare per Firenze un suo vecchio compagno di università, Paolo Botteri, l’unico ragazzo che era stato gentile con lei. Nient’altro, gentile. E allora aveva preso a seguirlo. Scoprendo che lui, a differenza sua, aveva terminato gli studi e aveva aperto una farmacia in centro. E ancora che aveva moglie e due figlie.
«E allora?» chiedono.