E allora era così che il rancore era iniziato. L’invidia per Rossana D’Aniello, una donna che nemmeno conosceva e che aveva sposato Botteri. Pensò che forse una vita così sarebbe potuta capitare anche a lei. La felicità, una famiglia, un uomo gentile che non la deridesse. La mente va e pianifica il delirio. In un’agenda tascabile gli agenti le troveranno scritto: «Guanti, la miglior vendetta est coltello, orari libe». Un altro coltello - più piccolo di quello usato nel delitto - sarà recuperato nel cestello della lavatrice. L’intenzione, pare, era sopprimere tutto ciò che rappresentasse il fallimento della propria vita. Molestava telefonicamente anche la moglie di un medico, una vendetta per i tempi del liceo; ma, dirà lei, non voleva ammazzare nessun altro. Anzi, a dirla tutta, ripete, non avrebbe mai voluto ammazzare proprio nessuno.
Solo che l’8 novembre, la collera era salita. Suonò alla porta di Rossana D’Aniello fingendo di dover consegnare un pacco. E quando la vittima aprì, la accoltellò. «Non sapevo neanche io cosa farne, se rivolgerlo contro di me o contro qualcuno. – dice ai magistrati - Ero in uno stato...io ho queste depressioni psichiche».
L’idea di uccidere è maturata all’improvviso: «quando mi ha aperto la porta di casa...mi è preso un furore». E conclude: «È da una settimana che penso che se veniva la polizia in casa mi sarei tagliata le vene perché io ormai ho completamente rovinata la vita». Anche se: «Sono molto religiosa. Ho molta più fiducia nella giustizia di Dio che in quella degli uomini».