Roberto Succo nasce a Mestre il 13 aprile 1962. Una famiglia normale, vita tranquilla e senza grossi pensieri. Il padre poliziotto, Nazario Succo, e la madre casalinga, Maria Succo, un’infanzia serena trascorsa anche come componente del coro della parrocchia. Il futuro mostro di Mestre cresce introverso e solitario, forse un po’ troppo irascibile, diventando sempre più egocentrico con il passare degli anni: è ossessionato dalla forma fisica e da adolescente passa gran parte delle sue giornate in palestra per fare body building.
È uno studente della quinta D del liceo scientifico Morin, si prepara per gli esami di maturità. Non è tra i più brillanti, ma se l’è sempre cavata. Un po’ isolato tra i compagni, anche se per anni ha fatto parte del coro della parrocchia. Irascibile al punto di minacciare i passeggeri sull’autobus se non lo fanno scendere in fretta. Dicono fosse un bambino un po’ strano che si divertiva a sezionare i piccoli animali. Un ragazzo freddo.
Ma nessuno ha mai badato troppo a lui, fino alla sera del 5 aprile 1981, due giorni dopo il suo diciannovesimo compleanno. La famiglia Succo abita in via Terraglio, alla periferia di Mestre, sulla strada che porta a Treviso. Nazario, 53 anni, è un appuntato friulano emigrato dalla Valle del Natisone, lavora nella Mobile agli ordini del commissario La Barbera. La madre Maria Lamon ha poco più di 40 anni, è una casalinga forse un po’ troppo protettiva, non vuole che usi l’AlfaSud del padre, ha paura di incidenti, la notte sta sveglia ad aspettare che Roberto rientri.
È una domenica sera, tra poco sarà Pasqua. Madre e figlio litigano per il solito motivo, l’automobile. E Roberto prende un coltello da cucina e incomincia a colpire la donna, una, dieci, trentadue volte di fila, al petto, al collo, alla testa. Poi trasporta il corpo nella vasca da bagno, spegne le luci e al buio attende che rientri il padre. Nazario arriva alle 23.30 e viene aggredito alle spalle, finito a colpi di accetta, soffocato con un sacchetto di nylon. Roberto depone i corpi nella vasca, uno sopra l’altro. Dirà: "Non volevo che soffrisse povero! Come può stare un uomo con la moglie uccisa e il figlio in galera"? Ancora: "Se tornassi indietro lo rifarei, mia madre era un drago a due teste"…
La polizia non ci mette molto a ricostruire la dinamica dell’evento e a individuare l’assassino. Gli agenti trovano i vestiti di Roberto Succo sporchi del sangue dei genitori, praticamente una firma lasciata sul luogo del delitto. A confermare la teoria, la testimonianza di alcuni vicini che lo hanno visto allontanarsi di fretta. Il giovane viene cercato tra Veneto e Lombardia, dove ha uno zio a Brescia. Roberto Succo viene arrestato due giorni dopo, in pieno pomeriggio: le forze dell’ordine lo beccano in una pizzeria di San Pietro al Natisone, provincia di Udine. La segnalazione decisiva è arrivata da un passante che ha notato l’Alfasud blu descritta dai telegiornali. Appena vede i carabinieri, il diciannovenne prova a tirare fuori la pistola ma l’agente riesce a saltargli addosso senza dargli la possibilità di muoversi. Il mostro di Mestre ha ancora con sé il coltello col quale sono stati uccisi i genitori.
Roberto Succo arriva in caserma in stato confusionale e inizia a raccontare storie assurde. “Soffrivo perché la mamma mi aveva escluso. A scuola andavo male. Papà, poi, non mi voleva prestare la macchina perché diceva che correvo troppo forte”, il suo racconto agli investigatori. Poi la tragica ricostruzione del duplice omicidio, confermata anche al magistrato. L’8 ottobre 1981 l'ufficio Istruzione del tribunale di Venezia dichiara Roberto Succo non punibile per totale infermità di mente sulla base delle perizie psichiatriche che lo giudicano schizofrenico. Il giovane viene dunque ricoverato nel manicomio criminale di Reggio Emilia per almeno dieci anni.
Come temuto, Roberto Succo non resta nel manicomio criminale per dieci anni. Tormentato e inquieto, il giovane veneziano condivide lettere inquietanti con don Domenico Franco, nelle quali racconta i suoi sogni criminali. A Reggio Emilia conosce un altro serial killer, Wolfgang Abel, che insieme al compare Marco Furlan aveva ammazzato quindici persone in sei anni. Un legame che potrebbe aver rinfocolato il suo desiderio di sangue. In realtà però Roberto Succo si comporta bene. Finisce il liceo e si iscrive all’università, per la precisione alla facoltà di Scienze naturali. In questo modo ottiene licenze di studio fuori dall’ospedale per frequentare corsi più impegnativi. Durante una di queste licenze, nel 1986, il giovane decide di scappare: ha 25 anni e vuole ricominciare. Ma non in Italia, all’estero. In Francia, a Parigi.
Per due anni Roberto Succo sembra scomparso nel nulla: nessuna notizia. Ma in realtà non ha mai smesso di uccidere: il 2 aprile del 1987 ammazza il brigadiere della gendarmeria Andrè Castillo a Tresserve (Savoia). Il 27 aprile commette due delitti: ad Annecy uccide a coltellate la giovane vietnamita France Vu-Dinh – il suo corpo non viene mai ritrovato – mentre a Sisteron, al termine di un passaggio in autostop, massacra il medico Michel Astoul. L’asticella della violenza sale esponenzialmente con il passare dei giorni: il 24 ottobre violenta e uccide con una 38 Special Claudine Duchosal a Menthon-Saint-Bernard.
Il 27 gennaio 1988 Succo è protagonista di una rissa in un bar di Tolone, dove ferisce un uomo con un colpo di pistola. Conosciuto con il nome di Andrè, il veneziano attira l’attenzione della polizia. Il giorno dopo due ispettori della polizia francese si recano in un albergo per prendere informazioni, ma di punto in bianco spunta proprio il mostro di Mestre: Succo estrae la sua arma e inizia a sparare, colpendo sia l’ispettore Claude Ajazzi che il collega Michel Morandin. Il primo crolla privo di sensi – ma non muore – mentre il secondo è bloccato al pavimento in quanto raggiunto dai proiettili alle braccia e alle gambe. Morandin supplica Succo di non ucciderlo, ma il ventiseienne fa finta di non sentire: lo finisce con un colpo alla testa.
Con il passare dei giorni si moltiplicano testimonianze e segnalazioni su Roberto Succo, in fuga tra Francia e Svizzera. Nonostante la fuga, non smette di inanellare crimini tra rapine e stupri. Almeno fino alla sera del 28 febbraio 1988, giorno della sua cattura a Santa Lucia di Piave, nei pressi di Conegliano: viene bloccato da una decina di agenti senza arrivare al Far West. I poliziotti trovano documenti falsi, parecchi contanti e una mappa a testimonianza dei suoi progetti: raggiungere la Sicilia per poi partire alla volta del Nord Africa. “Sono un killer, ammazzo la gente”, le sue prime parole in questura. E Roberto Succo ammette tutto, senza ritrosie e senza alcun tipo di rimorso.
Roberto Succo viene trasferito nel carcere Santa Bona a Treviso. Il 1° marzo si rende protagonista dell’ultimo show della sua vita: prima tenta l’evasione spettacolare, poi improvvisa una conferenza stampa in mutande sul tetto del penitenziario. Il giovane si attacca a un cavo e inizia a dondolarsi, nel tentativo di saltare su un terrazzino cade di sotto e precipita da un’altezza di sei metri: tre costole rotte e spalla lussata. Imbottito di calmanti, viene trasferito nel carcere Le Sughere di Livorno. La Francia spinge per l’estradizione, ma il 17 maggio 1988 il giudice istruttore del tribunale di Treviso Nicola Maria Pace lo dichiara incapace di intendere e di volere. Prima del trasferimento in un istituto psichiatrico giudiziario, decide di farla finita: “ospite” del carcere di Vicenza – il più vicino al tribunale – viene rinchiuso in isolamento. La notte del 23 maggio 1988 si suicida infilando la testa in un sacchetto di plastica che aveva riempito di gas grazie a una piccola bombola utilizzata per cucinare.
Altre fonti:
Podcast, Storie di tenebra
MyMovies, il film di Roberto Succo