Gli avevano chiesto, quand’era diventato l’inquilino abusivo al km 47, che mestiere facesse per riuscire a mantenere la numerosa famiglia (pare ci fosse pure una anziana a carico). Rispose: “Vendo lumache”. Mestiere certamente non da facoltosi. Però, Ernesto Picchioni pensò di integrare il reddito facendo l’assassino sgrassatore. In questo modo. Al suo tempo – gli anni ’40 del ‘900 – la Salaria, che passava quasi dinnanzi all’uscio di casa sua, era frequentata, per lo più da “ciclisti“ di Rieti diretti a Roma e viceversa. Tempi poveri per tutti: il tempo magro del film Ladri di biciclette, il mezzo di locomozione bellico e postbellico prevalente.
Pure per l’avvocato romano Pietro Monni, che ansimando andava a Rieti per una causa. La sventura fu per lui racchiusa in un chiodo che gli sgonfiò una ruota del velocipede. Ma quale sfortuna! Il chiodo, anzi i chiodi, li aveva seminati in mezzo la strada l’ingegnoso Ernesto e futuro serial killer. Che di fronte al pedalatore appiedato fece il brav’uomo. Disse: “Perbacco, un vero inconveniente. Io abito in questa casa modesta, ma accogliente. Gentile signore, si accomodi, la porta è sempre aperta”.
L’avvocato accettò di buon grado e siccome era l’ora del desinare, Ernesto chiamò la mogie: Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più. Una sorta di Cena delle beffe di Sem Benelli. Oppure del pranzo, a Senigallia, del Valentino. Poi, riempito lo stomaco all’amico in più, lo riempì anche di coltellate. E gli diede una (in)degna sepoltura, insieme alla bicicletta, nell’orto domestico.
Visto che l’impresa aveva fruttato diversi baiocchi, ad Ernesto l’idea non dispiacque e ci riprovò altre volte con lo stesso metodo del chiodo e del “Signore, si accomodi” e via discorrendo (gentilmente) appresso. Tanto, nell’orto, di spazio cimiteriale ce n’era a sufficienza. Bastava passasse qualcuno all’apparenza di buon censo che lui lo sceglieva per sua vittima e procedeva al sequestro d’ogni bene si portasse appresso.