Il 1946 stava ormai volgendo al termine e si avvicinava il Natale, il secondo del faticoso dopoguerra italiano. Milano era in piena ricostruzione, un po’ alla volta gli sfollati rientravano in città e nuove abitazioni sorgevano per dare un nuovo tetto a chi, solo pochi anni prima, aveva perso tutto. La città era ancora insanguinata da omicidi politici, e la malavita, equipaggiata con armi di facile reperibilità, spesso riempiva le cronache dei giornali con racconti tipo America anni trenta. Ma anche notizie positive rincuoravano i milanesi: la Scala era stata restaurata e riaperta, ed Enrico De Nicola aveva inaugurato la Nuova Fiera Campionaria. Le elezioni amministrative erano state vinte dai Socialisti, e sindaco era stato confermato Antonio Greppi.
In questo contesto di transizione e irrequietezza, il 30 novembre 1946, l’ultimo sabato prima dell’avvento natalizio, poco dopo le otto di una mattinata fredda e umida, la commessa del negozio di stoffe e cascami di proprietà di tale Giuseppe Ricciardi, bussava invano alla porta dell’abitazione di quest’ultimo, in via San Gregorio al numero 40. Lo scopo della sua visita era quello di farsi consegnare dalla moglie del titolare, quest’ultimo da alcuni giorni fuori Milano, le chiavi del negozio, per poter aprire come tutte le mattine. Non ottenendo risposta, si permise di spingere la porta socchiusa, e chiamando a gran voce la signora, si introdusse rispettosa nell’appartamento avvolto dalla penombra.
La commessa ci mise poco a vedere in terra, in una pozza di sangue, uno dei figlioletti del Ricciardi, e poco distante, riversa sul pavimento in senso contrario a quello del piccolo, la signora Ricciardi, Franca Pappalardo. Catapultata in un film dell’orrore, la poveretta corse in cortile e poi in strada cercando aiuto a gran voce.
Arrivarono prima i giornalisti e i fotografi che la polizia. I giornali del pomeriggio poterono così uscire con articoli a quattro colonne e fotografie dei cadaveri. Accorsi, gli uomini della questura, dopo aver isolato dapprima lo stabile e poi l’intera via, trovarono nell’appartamento altri due piccoli cadaveri: gli altri figli del Ricciardi. In totale, l’assassino o gli assassini avevano brutalmente ucciso, quasi sicuramente con una spranga in ferro dagli spigoli accentuati, la moglie del Ricciardi, Giovannino di 7 anni, Giuseppina di 5 e Antoniuccio da poco svezzato.
Il Nuovo Corriere della Sera del 1° dicembre 1946, a pagina due, titolò in grassetto: “Massacrati in via San Gregorio una madre coi tre figliuoletti”. Dall’articolo si apprende che la scoperta venne fatta, come detto, da Pina Somaschini, impiegata presso il negozio del marito della vittima. Il cronista riporta un inquietante indizio: oltre ad essere spariti due assegni, sul pavimento era stata trovata una fotografia stracciata dei coniugi Ricciardi immortalati il giorno della nozze. Subito venne avanzata l’ipotesi di un delitto a scopo passionale.