Il fascismo è caduto, ma la ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra è ancora lontana dall’essere compiuta. Roma è la capitale di un’Italia che stenta a riprendersi: fame, povertà. disoccupazione sono condizioni in cui vivono migliaia di persone, ma la mancanza di case è il problema più assillante per le tante famiglie che hanno avuto la loro abitazione distrutta dalle bombe. Gli anni dal 1930 al 1938 furono gli anni delle grandi demolizioni del centro storico della capitale volute dal regime, che sognava di trasformare Roma nella caput mundi. Migliaia di famiglie furono sfrattate per far posto alla via dell’Impero (oggi via dei Fori Imperiali), l’arteria dove il Duce mostrava i muscoli (scimmiottando Hitler) con le parate militari. Venne abbattuta la “spina di Borgo” per l’accesso a San Pietro e fu completata via della Conciliazione. che sorse al posto del vecchio Borgo medioevale. Agli abitanti fu promessa una casa più bella e più igienica, ma la realtà fu molto diversa dalle promesse. Centinaia di famiglie furono praticamente deportate in periferia. al limite della campagna romana, dove erano nati squallidi agglomerati urbani meglio conosciuti come borgate, a cui furono attribuiti nomi quali Bufalotta, Cessati Spiriti, Valle dell’Inferno, Prima Porta, Primavalle.
Proprio a Primavalle si consumò la tragedia di Anna Maria Bracci, conosciuta nella borgata come Annarella, una ragaz-zina di 13 anni, trovata morta in fondo a un pozzo, dove era stata gettata ancora viva, nella località Torrevecchia, a Monte Mario, la sera del 18 febbraio 1950. L’emozione e la rabbia che quest’omicidio suscitò, non solo nella gente della borgata di Primavalle, fu veramente grande.
Anna Maria “Annarella” Bracci era nata a Roma il 15 dicembre 1937, da Marta Fiocchi e Riziero Bracci, unitisi in matrimonio nel 1933, abitanti vicino a Ponte Milvio. L’unione tra i due non era stata vista di buon occhio dalla famiglia Fiocchi che apparteneva a quella parte di borghesia che nell’Ottocento era definita il generone. Il nonno di Marta, Ferdinando Fiocchi-Nicolai, era stato ufficiale superiore nell’esercito pontificio ed era rimasto ucciso in agguato un anno prima della Breccia di Porta Pia, per la sua fedeltà al potere temporale. I figli furono ben ricompensati dal Papa. che non fece mancare la sua riconoscenza per la fedeltà dimostrata dal vecchio Ferdinando.
Marta, di salute fragile, fu allevata dalle suore Battistine e, quando decise di unirsi in matrimonio con Riziero, di professione cantoniere lungo le strade ferrate, le due famiglie erano contrarie, seppure per motivi diversi. Eppure, i due erano certi che il loro amore avrebbe superato le differenze sociali. La realtà, però, si rivelò diversa dai sogni. I coniugi Bracci, appena sposati, erano andati ad abitare a S. Lorenzo, il quartiere di Roma dove a mezzogiorno del 19 luglio 1943 si scatenò l’inferno.
Centinaia di bombe dell’esercito alleato si sganciarono sulle case di famiglie operaie, gli edifici furono sventrati, nel vicino cimitero del Verano le tombe furono scoperchiate. Tra le macerie ancora fumanti si recò Papa Pio XII, con la sua veste bianca, a pregare per quei morti innocenti, uccisi proprio mentre stavano per sedersi intorno al tavolo, per consumare un povero pasto. Anche la famiglia Bracci restò senza casa e l’illusione di vivere una vita normale, che forse Marta Fiocchi non avena mai abbandonato, si spense per sempre in quello squallido agglomerato a Primavalle, divenuto ricettacolo dei senza lavoro, dei derelitti costretti a vivere in otto/dieci persone promiscuamente in miseri appartamenti.
Marta era abituata ad agi che la modesta condizione di Riziero non poteva consentirle e col trascorrere dei giorni divenne sempre più smaniosa, nervosa, insoddisfatta. Passava le giornate a fumare, a truccarsi, a uscire per le strade della borgata per farsi ammirare. Sfidava la povertà, suscitando l’ilarità della gente, uscendo di casa senza calze, con i piedi sudici, ma con le unghie laccate di rosso. No, la povertà in cui era costretta a vivere, non era sopportabile. Marta avrebbe voluto di più e si abbandonava ad amori fugaci, consumati nel sudicio appartamento dove passava gran parte della giornata da sola, perché il marito, che intanto aveva cambiato lavoro e faceva l’attrezzista al Teatro dell’Opera, tornava tardi a casa la sera. Al rientro le liti tra i due erano frequenti, nonostante la presenza dei sei figli costretti a subire impotenti un menage familiare ormai insopportabile.
Anna Maria passò i primi anni in un istituto di suore e furono, questi, anni sereni: poteva contare sull’affetto della zia, suor Giuliana, che le faceva da madre, e il ritorno in famiglia, nella borgata Primavalle, in via Lorenzo Lieta 29, lotto 25, scala L, int. 27, rappresentò in effetti il ritorno a una realtà dura e che nessuno. comunque, avrebbe potuto immaginare che sarebbe finita in tragedia. Annarella era entrata in collegio il 6 gennaio 1940 e ne uscì il 30 ottobre 1948. Aveva undici anni,. ma fu costretta a rimboccarsi le maniche e improvvisarsi donna di casa. Il matrimonio dei genitori era naufragato per i rancori e i continui tradimento di Marta che ormai Riziero non poteva più fare finta di ignorare.
Tutta la borgata ne parlava ed Annarella assisteva angosciata alle relazioni intrecciate dalla madre con uomini che abitavano nei pressi, fra questi Adamo Moroni, uno spazzino di mezz’età, uomo d’aspetto ripugnante, con cui Marta restò incinta e fu costretta ad abortire. Annarella aveva assistito alla scena dell’aborto della madre e ne era rimasta turbata. soprattutto perché aveva dovuto testimoniare in tribunale a seguito della denuncia di Riziero. che accusò la moglie di adulterio. Marta reagì contro Annarella con rancore e continuò ad aggredire verbalmente la ragazzina, sempre più sola dopo che il padre aveva lasciato la famiglia per ritirarsi a vivere con una sorella.
18 febbraio 1950, il tribunale concesse la separazione consensuale tra i coniugi Bracci. Sette giorni prima della sua tragica morte Annarella insistette per andare a vedere il film sulla vita di Maria Goretti “Cielo sulla palude” e, grazie alle cento lire regalatele dalla zia Giuliana, ci riuscì. La vita della ragazzina di Nettuno, morta a dodici anni per essersi opposta alla violenza di Alessandro Serenelli, turbò profondamente Annarella, che si era identificata con la vita della Goretti al punto di dire che se si fosse trovata nella stessa situazione avrebbe reagito allo stesso modo. Strana coincidenza davvero, poi, che, come Maria Goretti, Annarella avesse un fratello di nome Mariano e una sorella di nome Teresina!
Il 18 febbraio 1950 era un sabato di carnevale che la borgata aveva festeggiato con i poveri mezzi a disposizione. Marta Fiocchi non aveva neanche un goccio d’olio e un po’ di carbone per trascorrere la serata di festa, così diede ad Annarella venti lire per andare a comprare del carbone e la incaricò di andare a chiedere in prestito un po’ d’olio per condire la misera cena di broccoli. Annarella aveva paura del buio, attraversava le strade della borgata con il fiato in gola, ma la madre le diceva che non aveva nulla da temere.
Così Annarella quella sera esce, arriva in piazza Cardinale Federigo Borromeo: una ragazza di tredici anni, Anna Cecchini, sua amica e coetanea, la incontra e durante le successive indagini racconterà che Annarella si è fermata a parlare con Lionello Egidi, un giardiniere di venticinque anni, conosciuto come il biondino di Primavalle che insieme alla moglie, aveva abitato per qualche tempo nel seminterrato della famiglia Bracci. Annarella chiede a Lionello qualche soldo per comprare le caldarroste, questi le regala dieci lire. Poi la piccola si reca a comprare il carbone, quindi va a chiedere l’olio in prestito alla famiglia Berlinghini, da cui, però, riceve solo dello strutto. Da allora si perdono le tracce della bambina. Qualche ora dopo la madre, accompagnata dal fratello, va al commissariato di Primavalle a sporgere denuncia per la scomparsa della ragazzina.
Al commissariato non danno molto peso alle preoccupazioni della madre, era il giorno di carnevale e, dicono, forse la ragazzina si è fermata in qualche casa dove si tiene una festa. Maria, però, ha un brutto presentimento e continua la sua ricerca quasi fino all’alba. L’indomani, alle dodici, si reca nuovamente al commissariato e denuncia la scomparsa di Annarella.
La notizia si sparge per la borgata e Marta ricostruisce i movimenti della sera prima di Annarella, poi si reca da Lionello Egidi pregandolo di aiutarla nella ricerca. Lionello, aiutato da altre due persone, perlustra la zona di Torrevecchia, ma a sera torna da Marta per dire che le ricerche non sono andate a buon fine. Avvisato della scomparsa della figlia Riziero Bracci sollecita la polizia ad attivarsi nelle indagini. La scomparsa di Annarella innesca una reazione a catena, ne parlano i giornali e finisce per diventare un caso politico sull’incapacità delle forze dell’ordine. Gli echi del caso Girolimoni diventano sempre più forti e così il questore Saverio Polito affida le indagini al dirigente della squadra mobile Barraco. Prima di parlare di omicidio, però, occorre trovare il cadavere della ragazza, ma è come cercare un ago in un pagliaio: la zona di Torrevecchia e Monte Mario è stata scandagliata da cima a fondo, ma nessuna traccia è stata rinvenuta.
La soluzione del caso apparve improvvisamente e la fornì il nonno della bambina, Melandro Bracci, molto legato alla nipote che aveva ospitato per qualche tempo nella casa cantoniera al casello n. 7,800 della linea Roma-Firenze. Cuomo era partito alla volta di Roma con l’intento di trovare la nipote e, arrivato nella borgata, aveva cominciato a battere i campi in maniera spasmodica. La notte del 2 marzo Melandro aveva fatto un sogno in cui la nipote diceva: “Nonno vieni a prendermi. sono morta”, rivelando di essere stata uccisa e buttata in un pozzo, e per questo chiedeva che le venisse data sepoltura.
L’uomo, sconvolto da quel sogno. si precipitò nella località Torrevecchia e chiese ad alcuni contadini se nella zona ci fossero dei pozzi. Gli uomini gli indicarono un terreno detto di Checco il Gobbo, al margine di via La Nebbia, dove c’erano due cisterne chiuse da coperchi arrugginiti. Appoggiandosi al bastone, il vecchio sollevò uno dei coperchi e un disgustoso fetore quasi lo scaraventò indietro. Vincendo il ribrezzo e il terrore della scoperta che stava per fare, il poveretto scrutò il fondo del pozzo e vide qualcosa galleggiare sul fondo. Sconvolto si recò al commissariato di Primavalle, convinto di avere trovato il corpo di Annarella.
Purtroppo, la notizia si rivelò vera.
In poco tempo sul posto arrivarono funzionari di polizia e pompieri. Il pozzo era profondo venti metri e largo due ed era pieno per circa tre metri. Furono calate delle corde e un vigile si introdusse nel fondo della cisterna, riemergendone con il corpo ormai disfatto di Annarella. L’impressione per il ritrovamento di quel corpicino – Annarella era alta solo un metro e venticinque – fu enorme: l’assassino non poteva restare impunito. Sul posto iniziò un pellegrinaggio di migliaia di persone che per pietà, o solo per curiosità. lì si recavano per dare l’estremo saluto alla bambina, a due settimane dalla sua scomparsa.
Il cadavere fu dunque sottoposto ad autopsia e fu accertato che la bambina era stata ferita con un coltello: furono rilevate quattro ferite di punta e taglio nella ragione occipitale: due ferite di taglio alla mano destra dimostravano che Annarella aveva cercato di difendersi dall’aggressione. I polmoni erano pieni d’acqua e ciò costituiva la prova che la bambina era stata gettata viva nel pozzo, dove era morta annegata. L’avanzato stato di decomposizione del cadavere non consentiva di stabilire se aveva subito violenza sessuale.
La sera stessa del ritrovamento del cadavere fu arrestato Lionello Egidi mentre scendeva dalla circolare rossa al ponte Vittorio Emanuele. Cinque giorni dopo il ritrovamento del corpo di Anna Maria Bracci si svolsero i funerali. La bara era seguita da una folla straboccante e da circa cinquanta corone di fiori: una di queste, a forma di croce, di fiori di lillà, venne inviata da Wanda Osiris, la diva del momento. Dopo aver ricevuto l’assoluzione nella basilica di San Lorenzo, la bara fu tumulata al cimitero del Verano, nella Cappella di Raniero Marsili, che aveva offerto l’estrema dimora alla bambina.
La madre di Annarella non aveva partecipato ai funerali, perché trattenuta dalla Questura che aveva dei forti sospetti su di lei – suscitati dalle accuse rivoltale anche dal figlio Mariano in seguito ai maltrattamenti che perpetrava alla bambina – aggravati dalle evidenti contrad- dizioni in cui la donna cadeva durante l’interrogatorio. Fu la stessa Marta Fiocchi a far sorgere dei sospetti su Lionello Egidi durante la ricostruzione delle ultime ore prima della scomparsa della figlia.
La donna raccontò che Lionello mostrava molta simpatia per la piccola e spesso la cercava con scuse di vario tipo. Inoltre, la insospettivano i regali che la ragazza riceveva dall’uomo, fino al punto che un giorno, dopo che Annarella era stata trattenuta a lungo nell’appartamento di Egidi, aveva avuto il sospetto che Anna Maria fosse stata oggetto di atti di libidine. A carico di Egidi c’erano molti indizi, di lui in borgata si diceva che fosse dedito a compiere atti di libidine su ragazzine e, addirittura, che avesse abusato anche delle due sorelle della moglie, che per un certo tempo avevano abitato con loro. Gli interrogatori si fecero stringenti ed Egidi, dopo aver cercato di negare ogni addebito, il 10 marzo 1950, alle ore 21:45, confessò di avere ucciso Anna Maria Bracci.
Sì, Annarella l’aveva uccisa lui, la sera del 18 febbraio, quando, dopo l’incontro davanti alla caldarrostaia, l’aveva invitata a fare una passeggiata insieme, Annarella aveva accettato e si erano incam- minati verso la località La Nebbia. A circa venti metri dal pozzo aveva invitato Annarella a sedersi con lui in na cunetta e subito aveva cercato di sfi-larle le mutandine. Anna Maria, a quel punto, aveva cominciato a strillare ed Egidi, per farla tacere, l’aveva colpita con un bastone che all’estremità recava un chiodo, la ragazza era svenuta e l’uomo, senza esitazioni, l’aveva gettata nel pozzo. Quindi si avviò verso casa dove, poco dopo. era arrivata Marta Fiocchi che gli chiedeva di aiutarla nelle ricerche. Egidi cercava di far apparire l’omicidio come conseguenza dello stato confusionale dovuto al vino e al vermouth bevuto nel pomeriggio. Il caso sembrava essere risolto ed Egidi venne condotto a Regina Coeli, ma qui ci fu il colpo di scena: l’uomo ritrattò quanto detto ai funzionari di polizia, denunciando di essere stato costretto a confessare sotto tortura.
Il 23 aprile 1951 Lionello Egidi fu rinviato a giudizio: il processo in Corte d’Assise iniziò il 30 novembre 1951, ma non richiamò le folle che pure in passato si erano raccolte nell’imponente aula di giustizia in cui si erano svolti altri famo-si processi, come quello del barone Paternò, che nel 1911 aveva ucciso la contessa Maria Trigone, e del cieco Ignazio Mesones, che nel 1919 aveva ucciso la giovane moglie Bice Simonetti.
Il processo durò più di un anno e nel febbraio del 1952 la Corte d’Assise di Roma assolse Lionello Egidi per insufficienza di prove. La sentenza fu recepita con gioia dalla gente della borgata che accolse l’uomo come un eroe popolare, vittima della giustizia borghese che aveva cercato di criminalizzare un poveraccio, uno di loro, solo perché alla ricerca di un capro espiatorio. Certo, non tutti esultarono per l’assoluzione: c’era chi continuava a credere nella sua colpevolezza. Ormai, però, più nessuno si ricordava della povera Annarella, uccisa la sera del 18 febbraio 1950, durante il Carnevale, gettata ancora viva in una fetida cisterna. I riflettori della cronaca si erano appuntati su altri protagonisti.
In attesa del processo d’appello Egidi fu nuovamente arrestato per avere tentato di violentare una bambina di dodici anni durante una festa popolare sull’Appia Antica. Per questo reato fu condannato a tre anni e tre mesi. ma un nuovo colpo di scena si ebbe con la sentenza del processo d’appello per la morte di Annarella. La sentenza di secondo grado, ribaltando la prima. riconobbe Egidi responsabile della morte di Anna Maria Bracci e lo condannò a ventisei anni e otto mesi.
In aula era presente la moglie che, proclamando l’innocenza del marito, svenne mentre il presidente della Corte leggeva la sentenza. La parola fine al caso, però, non era ancora stata scritta, Egidi ricorse in Cassazione e nel 1961 l’Alta Corte assolse definitivamente il biondino di Primavalle che, poi, con moglie e figli si recò al Santuario di Viterbo a ringraziare Santa Rosa. Lionello Egidi, quindi, era innocente, la confessione gli era stata estorta dalla polizia con le torture, la condanna di secondo grado era stata una condanna “emotiva”.
Nel 1961 fu accusato di violenza su un bambino di otto anni e una condanna a otto anni, ridotti a sei, lo riportò in prigione. Ne uscì nel 1967, senza aver perso la sua aria di vittima della società ingiusta e dichiarando che Annarella era stata per lui come una figlia, e proprio il suo ricordo l’aveva salvato dalla disperazione.
La madre di Annarella era rimasta sola, ormai lontana dalla borgata di Primavalle: abitava in una camera e cucina in un’altra borgata al lato opposto della città, al Tiburtino III, lotto 13, scala Q, sola con i fantasmi della sua giovinezza, rubata dallo squallore di Primavalle e dei figli morti. Il destino dei figli dei Bracci fu davvero infausto: Ludovico era morto nel 1944., Annarella, vittima del bruto rimasto sconosciuto, nel 1950. Mariano, ammalatosi di cancro, morì nel 1951 in ospedale e nello stesso anno era morta anche Teresina, l’ultima figlia.
Gli unici due superstiti finirono in un collegio di suore.