Screenshot 2024 10 09 at 11 24 43 strage di ustica Cerca con GoogleIl 27 giugno 1980 il velivolo DC9 I-TIGI della compagnia Itavia decolla dall'aeroporto "Guglielmo Marconi" di Bologna. Sono a bordo 81 passeggeri, 64 adulti, 11 bambini tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi, oltre ai 4 uomini dell'equipaggio. Il volo, con nominativo IH870, è diretto a Palermo e parte alle 20.08, con due ore di ritardo. L'atterraggio è previsto per le 21.13. Tutto procede regolarmente fino all'ultimo normale contatto radio tra il velivolo e Roma Controllo, avvenuto alle 20.58. Alle 21.04, chiamato per autorizzare l'avvio della fase di atterraggio su Palermo, il DC9 non risponde. Iniziano affannose ricerche e cominciano anche ad emergere dubbi inquietanti su quello che può essere capitato.

Già alle 21.40 si ha qualche sospetto: dalle comunicazioni radio - ascoltate molto tempo dopo, durante l'inchiesta - si apprende infatti che «il personale di Roma aveva sentito traffico americano in quella zona». La mattina dopo tutti i giornali riportano notizie della tragedia e si comincia anche a fare le prime ipotesi sulle cause del disastro. Nonostante tanti inquietanti interrogativi, le indagini si adagiano sulla ipotesi più tranquillizzante: la «tragica ovvietà» che purtroppo gli aerei cadono. E l'Aeronautica Militare è molto attiva nel supportare l'ipotesi del cedimento strutturale. Un'ipotesi che sarà presto smentita (la Commissione ministeriale chiuse i propri lavori escludendo il cedimento strutturale), ma che continuerà inspiegabilmente a condizionare tanti atteggiamenti; tanto che il sospetto che si era diffuso circa la cattiva manutenzione del DC9 ha portato, nel gennaio 1981, alla chiusura e in seguito al fallimento della compagnia aerea Itavia.

Le indagini, che furono avviate dalle Procure di Palermo e di Roma e dal Ministero dei Trasporti, poco alla volta persero di mordente e sulla vicenda scese il silenzio fino al 1986. Poi, stimolati da una inchiesta giornalistica che indicava il DC9 quale vittima di una azione militare, un gruppo di politici e intellettuali si rivolgeva con un appello al Presidente della Repubblica perché «qualsiasi dubbio anche minimo sull'eventualità di un'azione militare lesiva di vite umane e di interessi pubblici primari fosse affrontato».