Nel 1992, i vertici dell'Aeronautica all'epoca dei fatti furono incriminati per alto tradimento, «perché, dopo aver omesso di riferire alle Autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare [...], l'ipotesi di una esplosione coinvolgente il velivolo e i risultati dei tracciati radar, abusando del proprio ufficio, fornivano alle Autorità politiche informazioni errate».
Gli imputati furono poi prosciolti per prescrizione nel 2004, e all'inizio del 2006 assolti dalla Cassazione. Nel 1999, alla fine della più lunga e travagliata istruttoria della storia giudiziaria del nostro Paese, la sentenza istruttoria del Giudice Rosario Priore affermò che «l'incidente al DC9 era occorso a seguito di azione militare di intercettamento». Il DC9 era stato coinvolto in una azione militare nel corso della quale un missile ne aveva causato la caduta. Alla fine delle indagini, dunque, oltre all'ipotesi del cedimento strutturale anche l'ipotesi di una bomba collocata a bordo, per lungo tempo contrapposta all'abbattimento nel corso di una operazione militare, si è rivelata un tentativo di sviare tanto le indagini quanto la consapevolezza dell'opinione pubblica. In una formula: depistaggio.
Alla tragedia umana della morte di 81 persone, si è sommata la tragedia civile di uno Stato che non ha potuto né saputo fornirne una spiegazione.