Intanto, il recupero del relitto porta alla luce evidenze tali da rendere impossibile che sia trattato di una bomba: molti oblò sono integri, con un’esplosione dall’interno sarebbero dovuti andare tutti in frantumi. Il wc e la stiva, i due luoghi dove secondo le tesi avanzate dall’Aeronautica militare italiana e da diversi uomini di Stato, sarebbe stato piazzato l’ordigno, non presentano segni compatibili con un’esplosione dall’interno. A queste evidenze si aggiunge il fatto che l’aereo decollò con quasi due ore di ritardo, e per un ipotetico attentatore sarebbe stato quantomeno complicato tenerne conto, programmando un timer.
Ciononostante, la tesi della bomba sopravvive a lungo: nel 1994 a sostenerla è un collegio internazionale di esperti, incaricato dal giudice istruttore Rosario Priore. Gli sviluppi dell’inchiesta romana andranno però in direzione di uno scenario diverso, evidenziando nel 1997 la presenza di aerei militari quella sera nei cieli sopra Ustica.
C’è un intero capitolo della vicenda del Dc9 Itavia che desta ancor più preoccupazione e alimenta il senso di “mistero” che da sempre aleggia sulla tragedia dell’aereo caduto a Ustica: una concatenazione di morti “sospette”, di suicidi “strani” (eventi, a rigor di logica, normalissimi e verosimili, ma sui quali avanzare qualche dubbio è al tempo stesso quantomeno legittimo).