C’è un piumone arancione arrotolato in camera da letto, nasconde il cadavere di un ragazzo: nudo, con un coltello piantato nel petto, sfigurato, il volto e il torso straziati da 100 tra coltellate e martellate. Vicino a quel piumone, nella penombra delle tapparelle mezze abbassate, ci sono due giovani uomini che dormono abbracciati, uno è vestito da donna. Sono passate ore dall’uccisione di Luca Varani, 23 anni, e in quella camera con lui ci sono i suoi assassini: Marco Prato, 30 anni, e Manuel Foffo, 29. È il 5 marzo 2016, a Roma, e fra poco tutta Italia verrà a conoscenza di uno dei delitti più feroci e disturbanti degli ultimi anni. Una storia che dà le vertigini e fa affacciare sull’«abisso umano», come l’ha definito il procuratore generale della Cassazione anni dopo.Il primo lancio dell’Ansa è del 6 marzo, alle 9.53, sette anni fa: «Un ragazzo italiano di 23 anni è stato ucciso ieri sera in un appartamento di via Igino Giordani, nel quartiere Collatino, alla periferia di Roma. Il corpo presenta segni di violenza. I carabinieri hanno fermato due persone».
Luca è nato nell’ex Jugoslavia e ha vissuto i suoi primi giorni in un orfanotrofio. È lì che Silvana e Giuseppe Varani, venditori ambulanti di dolciumi a Roma, lo incontrano la prima volta. Il sorriso del neonato li fa immediatamente innamorare e Luca torna a casa con loro. È un bel bambino dagli occhi vispi e profondi e il sorriso aperto e dolce è la sua cifra anche quando cresce. Da quando ha 14 anni è fidanzato con Marta Gaia, sono molto uniti e innamorati ma frequentano giri di amici diversi. Luca è andato alla scuola serale e, da poco, lavora in un’officina di riparazione auto. Nelle foto che circolano di lui lo si vede sempre sorridente, con un gattino in braccio, che gioca con una foglia. Una parte della sua vita, però, è avvolta dall’ombra. Solo dopo la sua morte, chi gli voleva bene scoprirà con sgomento quel lato oscuro: Luca si vende a uomini e ragazzi in cambio di soldi e droga.
Venerdì 4 marzo, di mattina, sta uscendo per andare a lavorare quando riceve il messaggio che gli cambierà per sempre la vita. A contattarlo è Marco Prato, noto pr delle notti gay romane, che gli offre 100 euro perché partecipi a un festino con alcol e droga. Luca accetta, inventa una scusa per il suo datore di lavoro e si avvia verso via Igino Giordani, al Collatino. Da lì, da quell’appartamento al decimo piano di un palazzone color crema e ruggine, non uscirà più.
Marco Prato è una personalità complessa, un 30enne che cerca il suo posto nel mondo e forse crede di averlo trovato. Viene da una buona famiglia, non è mai stato bene nel suo corpo. Prima i chili di troppo, poi i capelli che si diradano e cadono (infatti usa un parrucchino), un amore finito che gli ha fatto tentare già il suicidio e soprattutto un’identità di genere che non gli appartiene. Anche quando diventa uno dei pr più conosciuti degli eventi gay romani, Prato progetta di andare in Thailandia per iniziare il percorso di transizione che lo trasformerà in una donna. Con gli altri appare sicuro di sé e sembra avere grandi capacità di manipolazione. Gli piacciono gli eterosessuali. Ha conosciuto Manuel Foffo a Capodanno, solo tre mesi prima del delitto.
Manuel Foffo è iscritto a giurisprudenza ed è insoddisfatto. Avrebbe scelto un’altra facoltà, ma alla fine ha seguito il consiglio del padre, Valter, proprietario di un’avviata agenzia di pratiche automobilistiche e di un ristorante. Da sempre Foffo si sente schiacciato dalla figura paterna, ha problemi con l’alcol e da poco ha ottenuto di nuovo la patente che gli era stata ritirata. Da quando il fratello si è sposato, Manuel è andato a vivere nell’appartamento di via Igino Giordani, quello al decimo piano, proprio sopra la casa in cui vive sua madre.
La notte di Capodanno la sua vita si incrocia con quella di Prato: dopo aver festeggiato tutta la notte con altre persone, i due restano da soli e dopo aver assunto droga e altro alcol, hanno un rapporto sessuale che Prato decide di filmare. Da qui inizia la caduta di Foffo. Il 29enne entra in una profonda crisi: è sicuro di essere eterosessuale, ma quella notte passata con Prato lo destabilizza. E sapere che il pr è in possesso del video, e che potrebbe diffonderlo, lo getta in uno stato di ansia perenne e lo fa sentire soggiogato in qualche modo. Per questo accetta di rivederlo, per la seconda volta in vita sua, il 2 marzo, a casa sua.
Negli 80 metri quadrati dell’appartamento alla periferia di Roma - soggiorno, cucina, camera da letto e bagno - Prato e Foffo iniziano da subito a chiudersi in un’altra dimensione, una dimensione in cui il tempo perde il suo senso e dentro cui esistono solo loro due. Parlano tanto, consumano più di un migliaio di euro di cocaina e non si sa quanto alcol. Non dormono, non mangiano. Prato ha portato con sé un borsone in cui ha una parrucca blu elettrico e dei vestiti da donna. Sulle unghie si mette lo smalto della madre di Foffo. I due semisconosciuti si raccontano le loro vite, le loro paure, le delusioni, i dolori. Scivolano in territori spaventosi e piano piano, nella casa sempre più sporca e buia, prende forma l’idea più inconfessabile: uccidere una persona a caso per vedere l’effetto che fa.
Le ore passano, continuano a prendere cocaina. Fuori la vita della città va avanti come sempre: il traffico, la pioggia. I titoli dei telegiornali parlano dei due italiani rapiti a luglio in Libia e liberati, della polemica sul direttore della reggia di Caserta, del giallo di O.J. Simpson che potrebbe riaprirsi, della Roma che ha vinto la sua settima partita di fila ed è al terzo posto. Intanto Prato e Foffo cercano la loro vittima. Prima di inviare il messaggio a Luca Varani, attirano nella casa altre persone che però si salvano, uno scappa dopo aver fiutato la strana atmosfera che si respira nell’appartamento. Poi tocca a Luca. Appena arriva lo fanno spogliare e gli danno da bere un cocktail con dentro un farmaco che lo stordisce. Poi iniziano a colpirlo. Martellate, colpi con due coltelli diversi, cercano di strangolarlo. Alla fine, dopo oltre due ore di torture, Varani muore dissanguato.
Prato e Foffo si rendono conto di quello che hanno fatto. Restano ancora in casa con il corpo di Varani in camera da letto. Poi escono e fanno un giro in diversi bar, bevono ancora. Prato ha deciso che si toglierà la vita in un albergo, Foffo lo accompagna all’hotel e poi torna a casa sua. Di prima mattina accompagna la famiglia all’ospedale Gemelli, dove è morto lo zio. Quel giorno sono fissati i funerali, fuori Roma, e Foffo si avvia in macchina con i familiari. È durante il viaggio che, pressato dalle domande del padre, confessa: a casa sua c’è una persona che ha ucciso, non sa chi sia, non sa perché l’ha fatto. Una storia che non ha senso, un delirio a cui è difficile credere. Il padre di Foffo chiama il suo avvocato e insieme avvertono i carabinieri. È la sera del 5 marzo.
Gli inquirenti che entrano in casa di Foffo si trovano davanti una scenaraccapricciante, molti fanno fatica ancora oggi a ripensare a quello che hanno visto. Prato viene trovato nella camera d’albergo in cui ha tentato di uccidersi ingerendo alcol e farmaci. Ha lasciato dei biglietti di addio per i familiari in cui, tra le altre cose, chiede che gli venga fatto un trapianto di capelli prima della cremazione e che gli venga lasciato lo smalto rosso sulle unghie. Ma Prato non è morto, portato in ospedale si riprende. E da subito non mostra segni di pentimento. A quel punto Foffo sta già raccontando tutto durante l’interrogatorio: lui e Prato hanno ucciso un ragazzo che neppure conoscevano bene, senza un vero perché. Non vendetta, non motivi economici, niente. È questo «il lucido abisso umano» di cui parlerà il procuratore generale della Cassazione, è questa l’inquietante verità che ha spinto lo scrittore Nicola Lagioia a raccontare questa storia e interrogarsi sul male (e quanto sia vicino a noi) in un libro, La città dei vivi, che poi è diventato un podcast e uno spettacolo teatrale.
Marco Prato si è tolto la vita nel carcere di Velletri nel giugno del 2017, prima della sentenza di primo grado. Ha lasciato un biglietto in cui si diceva innocente. Manuel Foffo, che aveva scelto invece il rito abbreviato, è stato condannato definitivamente a 30 anni di carcere, nel 2019. Lo scorso 23 gennaio, il giorno in cui era nato Luca Varani, la sua ragazza ha scritto un post su Facebook: «Non c’è giorno che passi senza che io pensi a te, ma solo perché non riesco a darmi pace che tu non sei più qui a illuminare il mondo con i tuoi splendidi occhi ridenti. (...) mi sembra ingiusto e impossibile pensare che ogni anno io ne compio uno in più e tu ne avrai sempre 23».
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Omicidio Luca Varani, il ricordo dell'ex fidanzata: "Se avessi saputo avrei cercato di salvarti"
https://www.romatoday.it/cronaca/omicidio-luca-varani-ricordo-marta-gaia-sebastiani.html
DoppioZero: Un delitto perfetto? / Caso Varani. Il movente c’è eccome!