Il caso è estremamente complesso: vittime di età, ceto sociale, sesso, interessi completamente differenti tra di loro. Senza nessun legame, senza nessun movente apparente. Semplicemente erano tutti italiani a parte Otto, tedesco, ma al momento del fatto parlava italiano con la sua amante.
Dubbi e incertezze che fino a quel momento avevano fatto da contenitore a un vibrante senso di terrore svelano una ineffabile concretezza: gli abitanti di Merano perdono il controllo, si chiudono in casa, corrono per strada guardandosi le spalle. Il criminologo deve fungere da contenitore sociale e fornire risposte, farsi carico di questo senso di vulnerabilità e riportare le vittime indirette del reato su un piano di realtà, lontano dal panico interiore.
Le prove parlano, il modus operandi è un rituale simbolico pregno di significati: uccide senza contatto con le vittime, le sceglie a caso, è veloce e sa sparire tanto da sembrare invisibile. Conosce quindi il luogo talmente bene da svanire e passare inosservato, dettaglio che conduce a formulare una ipotesi sulla sua bassa integrazione sociale. Uccide a caso o per una caratteristica che accomuna le vittime di origine reale o frutto della psiche. Non prova alcun rimorso per l’atto, spara un proiettile alla fronte per ottenere una morte immediata e non la sofferenza della vittima; ha dimestichezza con le armi. La sua lontananza dai bersagli emerge immediatamente; un distacco mentale e fisico, quasi ribrezzo. Non vi sono dettagli che lo interessano, come mani, occhi o capelli, non si accanisce sulle vittime, nessun souvenir: non le conosceva. Sembra una esecuzione o una punizione, ma la seconda alternativa premetterebbe un legame con le vittime. In questi casi il movente può essere politico, etnico, razziale.