Screenshot 2024 09 30 at 22 25 51 gianfranco stevanin Cerca con GoogleLa storia di Gianfranco Stevanin inizia il 2 ottobre 1960 a Montagnana, in provincia di Padova e fino ai primi anni Novanta è una storia “normale”. Quella del “mostro di Terrazzo” invece inizia il 16 novembre del 1994 ed è tutt’altro che normale: da quel momento l’Italia scopre, come se ce ne fosse stato bisogno, fin dove può scendere la perversione dell’animo umano.

È in quel momento che Stevanin diventa agli occhi dell’opinione pubblica un efferato serial killer, a cui vengono attribuiti violenze sessuali e almeno sei omicidi brutali. Ma non bastava: le sue vittime, in genere prostitute, venivano poi mutilate, sezionate, seppellite, in una spirale di orrore che poi viene ricostruita nei dettagli nel corso dei processi. Ma andiamo con ordine.


 
Gianfranco nasce il 2 ottobre 1960 a Montagnana, Padova. I suoi genitori sono Giuseppe Stevanin e Noemi Miola, due possidenti terrieri. I terreni ed il bestiame permettono alla famiglia di avere una vita agiata, senza grosse difficoltà. Quando lui ha circa quattro anni, i genitori decidono di provare ad avere un altro figlio ma la gravidanza è a rischio. La madre ha gravi problemi renali e non solo, che la costringono a letto e a visite in ospedale molto frequenti. I due decidono di evitare a Gianfranco le preoccupazioni e lo mandano in collegio.

La madre cerca di andare a fargli visita e di vederlo, di stargli vicino, purtroppo però la gravidanza sfocerà in un parto con un neonato nato morto.I genitori, provati dal dolore, decidono di riportare Gianfranco a casa dal collegio dopo quei quasi due anni trascorsi lì. Lo ricoprono di attenzioni. Frequenta i primi due anni delle scuole elementari presso il paese di residenza, Terrazzo. Non mostra difficoltà o problemi.

Gianfranco però è un bambino come tanti e non sono rari gli incidenti. È in questo modo che un giorno, mentre “lavora” nei campi col padre d’estate, ha un incidente con un attrezzo agricolo che gli causa un grave taglio sulla testa. La madre, vista anche la perdita della gravidanza, è terrorizzata dal rischio di perdere il suo unico figlio. La vita nei campi è troppo pericolosa e decide di rimandarlo in collegio.

Gianfranco rimane nel collegio dei Salesiani di Brescia dal terzo anno della scuola elementare fino al primo anno delle superiori dell’istituto tecnico industriale, indirizzo perito elettronico. In questo periodo dice di aver avuto il primo rapporto sessuale, più propriamente un abuso poiché a soli 13 anni avrebbe avuto un rapporto con una donna sposata di 24.


 
Il primo anno delle superiori non è andato bene, non è stato promosso. Ripete il primo anno delle superiori e poi inizia a frequentare il secondo, senza grossi problemi. Ha amici e tante passioni, quella del motocross e quella della fotografia. I genitori gli regalano una moto per i suoi 16 anni ma lui dopo poco più di un mese, ha un gravissimo incidente mentre frequenta la terza superiore.Viene ricoverato a Verona d’urgenza, subendo molti interventi e rimanendo in coma per oltre un mese.

Ha una frattura frontale a ragnatela con un affondamento di 1 cm del margine superiore dell’orbita. Una parte della pelle della coscia gli viene asportata per sistemare la pelle della fronte ma rimarrà per sempre una grossa cicatrice.L’incidente gli provoca molti disturbi. Appena riprende conoscenza si sente prima molto agitato e poi meno vivace, rallentato. Gianfranco è triste perché gli hanno dovuto rasare i capelli di cui andava fiero. Si vergogna della cicatrice, quindi, lascia crescere i capelli per coprirla, per non spaventare le ragazze.

L’incidente però non lascia solo la cicatrice ma anche molti altri problemi. Si reca spesso in ospedale a Verona per alcune crisi epilettiche (1980), una meningite batterica (1980), altre crisi epilettiche (1987) e gravi problemi dentali (1990 e 1994).Riesce con grandi fatiche a riprendere gli studi e lo promuovono ma il quarto anno viene interrotto subito. Ha gravi problemi a concentrarsi, a memorizzare cosa legge o imparare. Preferisce stare in camera sua al buio anche se ha amici e conoscenti che gli stanno vicini per tenerlo su di morale. Dirà tempo dopo che quella vicinanza di amici e parenti lo hanno aiutato molto a non abbattersi.



Gianfranco riesce ad avere una storia sentimentale nonostante i vari problemi di salute. Conosce Maria Amelia nel 1980. I due sono coetanei ma si innamorano a prima vista e lei diventa la sua ragazza. Si amano molto e la loro storia regge. Hanno dei piani per il futuro, un matrimonio e dei figli. Quello che molti non raccontano di questa storia è che Stevanin ha difficoltà nei rapporti sessuali con lei. Non riesce a raggiungere l’orgasmo, durando troppo nei rapporti. A differenza di qualsiasi ragazzo giovane di vent’anni, capisce che per continuare il suo rapporto con la sua amata, ha bisogno di aiuto.

Si rivolge ad uno psichiatra psicanalista per un percorso di terapia psicosessuale. In alcune sedute si presentano entrambi per affrontare le problematiche di coppia e risolverle.La terapia li aiuta ed i due continuano ad amarsi, Gianfranco riesce a lasciarsi andare e raggiungere gli orgasmi in tempi soddisfacenti. La storia non ha problemi e il loro amore va avanti.

Si dice che Maria Amelia si sia ammalata gravemente e che la madre di Stevanin sia intervenuta nella loro storia per farli lasciare. La versione che ne abbiamo da Gianfranco è diversa. Lui avrebbe scoperto in quel periodo di essere sterile e di non poter aver figli, per questo avrebbe lasciato la sua amata. Non voleva vincolarla ad una vita senza figli, che invece lei desiderava molto.La storia dura cinque anni, fino al 1985.

Forse non sapremo mai il vero motivo per cui si sono lasciati. Sappiamo solo che lui l’ha cercata anni dopo ma lei si era rifatta una vita. Nel frattempo, Gianfranco non è più riuscito ad avere delle storie sentimentali durature, sempre storie fugaci o di poco conto. Dirà sempre di aver cercato Maria Amelia in altre ragazze ma senza fortuna alcuna.



La sua fedina penale inizia ad avere qualche macchia tra il 1978 ed il 1983. Un’altra denuncia la riceve per violenza privata. Lui finge di avere una pistola in tasca e obbliga una ragazza ad accompagnarlo ad una fiera. Viene denunciato poco tempo dopo per rapina.

Finge di avere una pistola e ruba dei gioielli ad un’altra ragazza. In questi anni simula un rapimento per chiedere un riscatto ai suoi genitori. Il fatto potrebbe far ridere ma non era un fatto così raro all’epoca, anzi. Per questa vicenda viene accusato di simulazione di reato.

Nel 1983 causa un brutto incidente stradale. È alla guida della sua auto, ha fretta e la macchina davanti va troppo a rilento. Decide di superarla ma la visibilità è pessima e si accorge tardi di una macchina che arriva in senso opposto. Non sa che l’auto davanti va a rilento a causa di una signora in bici. Rientra in modo brusco nella sua corsia per evitare il frontale ma purtroppo colpisce la signora che morirà a causa delle lesioni. Verrà condannato per omicidio colposo.

Una volta viene fermato dai carabinieri che lo trovano armeggiare vicino all’auto una sera. Gianfranco sta cambiando la targa dell’auto a bordo strada vicino a Verona. I carabinieri nel bagagliaio trovano una targa falsa, coltelli a serramanico, bende, forbici, macchine fotografiche.

Anni dopo, durante il processo per l’uccisione delle prostitute, emerge un fatto del 1989. Lui ha rapito e violentato una prostituta di Verona, Maria Luisa Mezzari. Di questa denuncia non si trova però traccia e lui non verrà mai perseguito. Lei aveva denunciato di essere stata caricata in auto e portata in un cascinale di campagna dove il suo aguzzino l’avrebbe stuprata. Sporge denuncia ma questa rimarrà per sempre in un cassetto e nessuno indagherà mai sul caso. 



Gabriele Musger è una giovane prostituta di origini austriache. Ha solo ventotto anni ma sa fare il suo lavoro e lo fa per mettersi da parte dei soldi. È quella che molti chiamerebbero una professionista. Si prende cura di sé e vive in un motel a sue stesse spese. Non è una tossicodipendente, non salirebbe in macchina con chiunque.

La sera del 15 novembre del 1994 è un martedì e sono circa le 21:15. Gabriele si trova in una via periferica di Vicenza, in attesa del prossimo cliente. Lui accosta e le propone di farle delle fotografie. Il compenso è di 500.000 lire se si fa fotografare vestita, un milione se si fa fotografare nuda. Lei accetta a condizione che non le riprenda il viso.Sale in auto e si dirigono verso la casa di lui a Terrazzo, in via Torrano. I genitori non ci sono perché il padre è molto malato ed è ricoverato in ospedale. Lui le chiede se è un’immigrata in regola o no, se ha con sé i documenti, se vive sola. Lei è a disagio ma non ci presta attenzione.Arrivano nella casa di Terrazzo quasi alle 23 e lui la fa accomodare in casa. La cucina era un set fotografico ma con bende bianche e nere, corde di nylon e altri oggetti simili. Lei si spaventa ma lui la obbliga a indossare un vestito azzurro e una collana di finti turchesi. La fa stendere su un tavolo con sopra una tovaglia turchese, la lega e la violenta e nel frattempo scatta varie fotografie. Lei riesce a chiudersi in bagno e cerca di scappare dalla finestra ma non ce la fa. Lui sfonda la porta e la fa uscire.

Dopo averla tirata fuori dal bagno, lei ha paura. Cerca di convincerlo a risparmiarle la vita in cambio di 25 milioni di lire che ha nel motel. Lui si lascia convincere. Esce fuori a scaldare l’auto. La fa salire e lascia la pistola sul sedile mentre apre il cancello, tira fuori l’auto e poi richiude il cancello. Ripartono alla volta di Vicenza, prendendo l’autostrada mentre la pistola è dai piedi di lei.



La Volvo 480 arriva al casello di Vicenza Ovest poco prima delle 7. Lei non fa segno al casellante mentre Gianfranco paga ma scende dall’auto e si mette a correre in direzione della pattuglia. Lei sa che c’è sempre una pattuglia in quel casello, conta su quello. I poliziotti scendono dall’auto e sentono urlare “Aiuto, fermatelo! Ha una pistola!”. I poliziotti si dirigono di corsa verso la Volvo e vedono un giovane elegante e la pistola ma è un giocattolo.

I poliziotti lo invitano a scendere e lui esegue. È tranquillo, non sembra preoccupato. Gabriele inizia a raccontare di essere una prostituta e che lui è un cliente, di essere stata sequestrata e stuprata e di aver temuto per la propria vita. Racconta di minacce e violenze subite con la minaccia della pistola. Lui racconta una versione diversa. Le ha offerto delle mele che lei ha mangiato usando anche un bel coltello tagliente. Gianfranco dice che i rapporti sono stati consenzienti, che lui non l’ha violentata o abusata. Lei si sarebbe alterata quando lui ha prospettato il pagamento in un momento successivo. A sua discolpa dice che non è stupido, se davvero avesse abusato di lei, non avrebbe mai imboccato l’autostrada. Gianfranco sa che in quel casello c’è sempre una pattuglia, sarebbe stato rischioso.



Gianfranco è sicuro di non aver commesso nulla di male ma viene sottoposto a fermo. Insieme al suo legale, Cesare Dal Maso, chiedono e ottengono il rito abbreviato. Davanti al G.I.P. di Verona Gianfranco viene condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione per sequestro di persona e violenza carnale. Nessuno per questo caso ha fatto un sopralluogo delle proprietà della famiglia Stevanin, né della casa padronale né dei casolari di campagna.

All’inizio del 1995 gli inquirenti decidono di fare delle altre indagini mentre Gianfranco sta scontando la pena. I carabinieri trovano alcune fotografie pornografiche nella casa di Terrazzo in cui vengono riprese alcune persone, anche insieme a Gianfranco. Questi reperti non porteranno a nulla.

La svolta arriva il 3 luglio del 1995. È un lunedì mattina qualunque e un bracciante sta pulendo i fossi di uno dei terreni degli Stevanin, in via Pegorare. Il bracciante trova un sacco di plastica coperto da un po’ di terra e alcuni mattoni. Lo apre e trova dentro un altro sacco di iuta in cui c’erano dei resti umani in stato di saponificazione. Si tratta di una gabbia toracica con una porzione estesa del sacro, dell’ileo-ischio e del pube. Il corpo è di una donna giovane, tra i 17 ed i 25 anni, alta circa 1,50 mt ma non si sa chi sia.


 
Iniziano le indagini per mano del P.M. Maria Grazia Omboni. Il 7 luglio i carabinieri trovano un sacco simile nel casolare del terreno in via Brazzetto e mattoni simili a quelli sopra il sacco. Trovano anche siringhe, indumenti intimi femminili, calze di seta, corde di iuta e di nylon, nastro, rasoi, taglierini, borse da donna. Trovano anche tracce biologiche, del sangue.

I carabinieri tornano nella casa famigliare di via Torrano e trovano anche lì tanto materiale. Trovano molto materiale erotico, ciocche di capelli, un sacchetto con peli pubici e uno schedario. Qui trovano 7.000 fotografie pornografiche, oltre quaranta schede su molte ragazze e loro prestazioni.In camera sua, sparsi dovunque, ci sono molti libri, più di 250 volumi di ogni tipo. Ci sono alcuni manuali di anatomia, alcuni saggi e molti libri di narrativa. In cima ad una pila di libri c’è un romanzo, un thriller, si intitola Facile da uccidere di John Katzenbach e ne parlerò dopo. Gianfranco è iscritto a un club del libro, uno di quelli per cui devi ordinare sempre o ti ritrovi con qualche libro che non gradisci.Gli inquirenti trovano anche i documenti di due giovani donne: la carta d’identità di Claudia Pulejo ed il permesso di soggiorno di Biljana Pavlovic. Sospettano che il busto sia di una delle due.


 
Claudia, Chicca per gli amici, ha 29 anni e da giovane sognava di fare la modella. È molto bella e ha un bel fisico. Conosce gli Stevanin da quando è piccola, i suoi genitori spesso vanno a lavorare nei loro terreni. Conosce anche Gianfranco di persona, hanno pochi anni di differenza. Viene da una famiglia numerosa e questo la condiziona molto. Finisce in brutti giri, diventa tossicodipendente e sieropositiva. Forse si è anche prostituita per pagarsi la droga, come purtroppo capita a chi soffre di queste dipendenze. Ha però un figlio piccolo, lasciato alle cure dei suoi genitori mentre lei vive con un nuovo compagno a Legnago. Frequenta spesso i giardini pubblici di Legnago, come molti altri tossici.

La sera del 15 gennaio 1994 dice al compagno di avere un appuntamento, così come lo ha detto agli altri del parco. Un uomo le ha promesso 15 scatole di Roipnol e dei soldi in cambio di alcune fotografie. Lei si trucca e si prepara. Mette un vestito nero molto scollato di ciniglia in un sacchetto ed esce verso le 22:30. Non tornerà mai più. La madre scopre che aveva appuntamento con Gianfranco, va da lui a chiedere informazioni. Lui dice che sì, aveva un appuntamento con lei ma lei non si è presentata.

Screenshot 2024 09 30 at 23 03 47 Gianfranco Stevanin Serial Killer Dossier pagina 4Biljana ha 25 anni ed è serba. È molto carina e minuta, alta circa 1,50 mt. In Serbia ha un figlio che la aspetta. Lavora in una pizzeria a Rosolina Mare. Gianfranco dice di averla conosciuta sulla strada che porta da Adria a Rosolina Mare e di averle dato un passaggio. Il 18 settembre 1994 è scomparsa anche lei.

Carabinieri ed esperti, guidati dalla P.M. Omboni scavano e cercano in tutti i terreni degli Stevanin ma senza grande successo. Non capiscono se è una cosa positiva o no. Stanno quasi per arrendersi quando il 12 novembre del 1995 viene fatta un’altra scoperta. Il cugino di Gianfranco, Antonio De Togni, lavora nei terreni tra via Brazzetto e l’argine dell’Adige quando a una decina di metri dal letamaio intravede un sacco sospetto. Il sacco non è sotterrato abbastanza, è a meno di un metro di profondità. Chiama i carabinieri e questi arrivano di corsa.

La scientifica scava e trova un corpo in stato di saponificazione. È avvolto in un telo simile a quelli per coprire i rimorchi dei trattori. Il corpo è piegato su sé stesso, in due. L’autopsia non riesce a stabilire molto ma il medico legale nota qualcosa di strano. La zona pubica è molto decomposta, tanto da non riuscire ad individuare l’utero. Il medico è certo sia stato asportato perché la decomposizione di quella zona era incompatibile con il tempo trascorso sottoterra.Viene disposto il test del DNA che permetterà di capire dopo poco che il corpo è quello di Biljana Pavlovic.Tutto questo avviene nella seconda metà di novembre del 1995. Il gip aveva disposto la scarcerazione perché non pericoloso ma questo ritrovamento cambia tutto. Il nuovo gip conferma il carcere per triplice omicidio, anche se i corpi trovati fino a quel momento sono due.


 
A fine novembre 1995 riprendono gli scavi nei terreni di via Brazzetto e durano poco. Il 1° dicembre 1995 viene trovato il terzo corpo. Il corpo è sotterrato a oltre due metri di profondità, saponificato, avvolto in diversi strati di giornale e giri di pellicola. È il corpo della povera Claudia Pulejo, scomparsa il 15 gennaio 1994, la sera in cui doveva incontrare Stevanin. È morta probabilmente per asfissia. A dicembre 1995 è sospettato per tre omicidi: Claudia, Biljana e la sconosciuta del fosso. Le prime due erano sotterrate nei terreni del cascinale di via Brazzetto, l’altra in un fosso vicino a un altro terreno.

Iniziano le ipotesi, alcune strane e altre meno. Nel 1992 muore la sorella di Claudia Pulejo, Cristina. Si pensa a un incidente, un pirata della strada, qualcuno l’ha investita e lasciata in mezzo alla strada. Chi la trova dice che è stesa in mezzo alla strada ma nessuno approfondisce la sua morte, se davvero per incidente o no.

Nel 1995 spuntano alcune ipotesi su questo caso ma rimarranno tali. Gli inquirenti contano un altro possibile omicidio: una ragazza fotografata. Nelle fotografie ci sono pose di pratiche sessuali spinte, come il fisting, e gli inquirenti ritengono sia morta in alcuni scatti. Sospettano abbia ucciso una ragazza sconosciuta, con segni di tossicodipendenza sulle braccia, presente in molti scatti. In alcuni scatti è ai giardinetti di Legnago con un giornale in mano, forse di primi anni Novanta. Non si sa chi sia e se sia morta. Sospettano di lui anche per l’omicidio di Roswita Adlassnig. È una prostituta di origini austriache di 23 anni. Lavora da qualche tempo nel veronese ma sparisce l’8 maggio 1993, come da denuncia dell’amica Petra. Roswita è scomparsa dopo essere salita in auto con un cliente e di lei non si saprà mai nulla. 


 
Gianfranco per mesi subisce pressioni da inquirenti, legali, carcerati e giornalisti per ricordare e confessare. Sostiene all’inizio di non ricordare poi inizia a fare delle supposizioni, tra luglio e agosto del 1996, a volte senza molta logica, descritte come sogni e visioni. Gianfranco dice di ricordare di una ragazza giovane, sui 22 o 23 anni, forse una studentessa. Dice che erano sul fianco mentre facevano l’amore e di averla strangolata nella foga del rapporto. Dice di averla lasciata nel cascinale per un giorno e di essere poi tornato per farla a pezzi. Racconta di aver fatto in tutto dieci pezzi, seppellendo poi i pezzi in giro.

Parla di Claudia. L’ha vista la sera della scomparsa e le ha scattato delle foto, facendo poi l’amore. Lei però aveva esagerato con la droga ed era morta di overdose, con una siringa nel braccio. Lui la sotterrò per paura di finire nei guai, visti i precedenti penali. L’autopsia dice che il corpo di Claudia ha segni di asfissia nel collo. Biljana l’ha vista mentre cercava un passaggio per Rosolina Mare un sabato di settembre del 1994. La relazione dura qualche giorno ma purtroppo una sera fanno un gioco erotico che finisce male. Biljana è morta, secondo le sue parole, mentre aveva un sacchetto in testa collegato con una corda alle mani legate dietro alla schiena.

Nel settembre del 1996 Gianfranco esce dal carcere insieme agli investigatori. Girano i fossi delle campagne di Padova e Verona e indica i luoghi di presunto abbandono del primo corpo sognato.

il 12 giugno 1997 in un canale di Merlara vicino a Padova trovano una coscia di donna in un canale. Appartiene al busto trovato il 3 luglio 1995 nel fosso di via Pegorare.


 
Gianfranco chiede di parlare con gli investigatori. Dice di aver sognato un’altra ragazza, uccisa strangolata e gettata nel fiume Adige. Gli investigatori chiedono dettagli, la zona precisa, per cercarla. Gianfranco stupisce tutti, la ragazza l’hanno già trovata, due anni prima. Nel luglio del 1994 un barcone ha dei problemi mentre è nell’Adige all’altezza di Piacenza d’Adige. Si affacciano e trovano un corpo nudo incagliato a poppa. La polizia arriva subito e lo portano via. Il corpo era in acqua da troppo tempo e non era possibile identificarla. Si sa solo che era sui vent’anni. Viene seppellita poco dopo come corpo ignoto. Gianfranco ha seguito la notizia sui quotidiani locali, incuriosito dice. Il corpo lo ha buttato circa due settimane prima e circa 15 km più a monte ma non sa nulla della ragazza, del nome o altro.

Le indagini sull’identità della ragazza le fanno la giornalista Simona Ercolani dell’«Arena» di Verona e un operatore della Rai, di “Chi l’ha visto?”. Ripercorrono tutti i posti frequentati e arrivano alla stazione di Isola Rizza, Verona, al bar della superstrada. Il proprietario, il signor Merlin, riconosce Gianfranco come cliente assiduo. Simona chiede al proprietario di guardare le foto delle donne scomparse. Lui individua dopo poco Blazenka Smoljo. È una giovane sparita nel luglio del 1994 e lui ricorda di averla forse vista con Gianfranco ma non è sicuro, è passato troppo tempo.

Blazenka ha 23 anni ed è di origini croate. È una bella ragazza alta e bionda. Ha un bimbo piccolo di 3 anni, che ha lasciato col padre. Lei è scappata da Pola il giorno di Capodanno per rifarsi una vita. La madre è molto preoccupata ma il 3 gennaio 1994 la ragazza la chiama e la tranquillizza. Dice che è quasi al confine con la Francia ma non è vero, è a Verona. Promette di chiamare spesso e anche tornare ogni tanto. Ad aprile 1994 Blazenka torna per il quarto compleanno del figlio ma riparte in fretta. Blazenka a giugno subisce un ricovero. Questo la spinge a fare la richiesta per i documenti. Dice alla madre di aver fatto la richiesta per i documenti e di aver conosciuto anche un bel ragazzo francese con cui farà una gita a breve. Dopo questo momento sparisce, da giugno 1994. I familiari si preoccupano e contattano “Chi l’ha visto?” ma solo nell’estate del 1996 scopriranno la verità. La madre di Blazenka la riconosce in una delle foto di Stevanin. 

Gianfranco dice di conoscerla come Fatina. Lei era una prostituta e si erano innamorati. Voleva smetterla con quella vita e lui le propone di nasconderla per un po’ nel cascinale di via Brazzetto. Lì lei muore durante un rapporto sessuale e lui va nel panico. Torna dopo molti giorni e la avvolge nella pellicola. La porta sull’argine dell’Adige e la fa scivolare nel fiume. Seguendo poi la vicenda sui giornali circa due settimane dopo. A questo punto sono chiari i punti su Claudia, Biljana e Blazenka, la sconosciuta del tronco e la donna in pose estreme. In tutto cinque donne. Ce ne sono altre? Roswita Adlassnig e la tossicodipendente con il giornale compaiono nei suoi scatti ma quante potrebbero essere davvero?


 
Screenshot 2024 09 30 at 23 23 21 Gbriele musger Cerca con GoogleVengono disposte le perizie per valutare la capacità di intendere e volere di Gianfranco. I periti d’ufficio sono Ugo Fornari e Ivan Galliani. È un soggetto intelligente, senza problemi di memoria, non è ansioso o depresso ma solo sospettoso e cauto. È aggressivo e vuole avere tutto sempre sotto controllo. Si concentrano molto sul ruolo avuto dalla madre. Lo psichiatra Marco Lagazzi partecipa come perito dell’accusa e tutti e tre concordano sulla coerenza tra le caratteristiche dei serial killer e quelle di Gianfranco. La difesa nomina come consulenti di parte Francesco Pinto e Giovanni Battista Traverso. Spiegano che i danni dell’incidente sono evidenti nei cambi della personalità, di tipo patologico, soprattutto nella sfera della psicosessualità determinando parafilie in base al DSM IV. Lo descrivono come appiattito, instabile, labile, agisce senza ponderare con episodi di discontrollo. È processabile ed è rinviato a giudizio.

Il processo inizia il 6 ottobre 1997 in Corte d’Assise.

Il 28 gennaio 1998 arriva la sentenza: ergastolo. Mutilazioni, occultamento, stupri, sequestri e sei omicidi volontari (Roswita Adlassnig, Claudia Pulejo, Blazenka Smoljo, Biljana Pavlovic, la sconosciuta smembrata e la sconosciuta delle foto estreme).

Il 22 marzo 1999 inizia il processo d’appello. Il presidente della Corte dispone una nuova perizia. La conclusione parla di “capacità di intendere grandemente scemata, mentre era esclusa la capacità di volere”. La sentenza arriva il 7 luglio 1999 con 10 anni e sei mesi per distruzione e occultamento di cadaveri con una permanenza di almeno dieci anni in (ex) ospedale psichiatrico giudiziario.Il ricorso dell’accusa viene accolto e il 30 novembre 2000 inizia l’appello bis.

Il 23 maggio 2001 la sentenza parla di ergastolo per cinque omicidi, assolto per la donna che sembrava morta nelle foto di sesso estremo.

Il 7 febbraio 2002 la Cassazione conferma la condanna