Gianfranco è sicuro di non aver commesso nulla di male ma viene sottoposto a fermo. Insieme al suo legale, Cesare Dal Maso, chiedono e ottengono il rito abbreviato. Davanti al G.I.P. di Verona Gianfranco viene condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione per sequestro di persona e violenza carnale. Nessuno per questo caso ha fatto un sopralluogo delle proprietà della famiglia Stevanin, né della casa padronale né dei casolari di campagna.
All’inizio del 1995 gli inquirenti decidono di fare delle altre indagini mentre Gianfranco sta scontando la pena. I carabinieri trovano alcune fotografie pornografiche nella casa di Terrazzo in cui vengono riprese alcune persone, anche insieme a Gianfranco. Questi reperti non porteranno a nulla.
La svolta arriva il 3 luglio del 1995. È un lunedì mattina qualunque e un bracciante sta pulendo i fossi di uno dei terreni degli Stevanin, in via Pegorare. Il bracciante trova un sacco di plastica coperto da un po’ di terra e alcuni mattoni. Lo apre e trova dentro un altro sacco di iuta in cui c’erano dei resti umani in stato di saponificazione. Si tratta di una gabbia toracica con una porzione estesa del sacro, dell’ileo-ischio e del pube. Il corpo è di una donna giovane, tra i 17 ed i 25 anni, alta circa 1,50 mt ma non si sa chi sia.